La resistenza dell’io sociale
«Perfect Days» Si può cambiare il mondo se non si comincia a cambiare se stessi? Oppure si può cambiare il mondo senza cambiare se stessi?
«Perfect Days» Si può cambiare il mondo se non si comincia a cambiare se stessi? Oppure si può cambiare il mondo senza cambiare se stessi?
L’articolo di Alberto Leiss (il manifesto del 23 gennaio) – una riflessione politica a proposito del film Perfect Days – ci porta a una considerazione che non si può eludere facilmente: in un momento storico come questo caratterizzato da rigurgiti neofascisti e dalle atrocità delle guerre – usando una categoria non politica, dalla vittoria del Male sul Bene -: è un’opzione praticabile quella di chiudersi nella propria felicità personale delle piccole cose che non suoni come rassegnazione? Tentazione che ci tormenta impotenti ogni giorno apprendendo le notizie sempre più drammatiche su dove va il mondo.
Per chi non avesse ancora visto il film di Wim Wenders, il protagonista , per usare le parole di Leiss, «sembra felice del suo lavoro “umile” di chi pulisce – perfettamente però – le toilette pubbliche di Tokyo, e sorride al sole tra le foglie; non è forse la rappresentazione di una rinuncia alla socialità, una resa al mondo così com’è, mentre è troppo sbagliato e bisognerebbe darsi da fare – con gli altri- per cambiarlo?». La domanda può essere così riformulata: si può cambiare il mondo se non si comincia a cambiare se stessi? Oppure si può cambiare il mondo senza cambiare se stessi? A quest’ultima domanda abbiamo già avuto risposta dalla Storia: tutti i capovolgimenti avvenuti con la violenza hanno stabilito un nuovo ordine ma infine sono falliti.
Rispondere alla prima domanda risulta più difficile. Ingrao diceva che non si può essere felici in un’isola separata dagli altri e aggiungeva che lui era diventato comunista non per altruismo o per qualche amore di un’ideologia ma solo perché lo faceva soffrire la sofferenza degli altri, ovvero la sua scelta era dettata da una sorta di ribellione interna, quasi, diceva, «egoistica».
Si dirà che le due domande non sono tra loro contraddittorie: se si vuole cambiare il mondo bisogna partire da se stessi ma sapendo che senza il contributo e la solidarietà con gli altri non cambieremo mai nulla; del resto cambiare se stessi non significa innanzi tutto accogliere gli altri, tutti gli altri? La domanda sembrerebbe nn avere senso. Eppure questo sentimento non di rinuncia, ma di «farsi da parte» sembra farsi strada in molti che pure hanno creduto e ancora credono alla urgenza e necessità dell’impegno politico.
L’Italia va invecchiandosi e quelli che sono stati i nostri Maestri in politica sono deceduti o si sono fatti da parte e con loro sono stati messi in cantina anche quei valori che ci avevano guidati: la solidarietà, l’amicizia, la gentilezza, l’amore per la polemica politica, la sobrietà, la speranza riposta nel futuro, la lotta contro le ingiustizie, l’uguaglianza, la dignità del lavoro, l’educazione dei figli, l’amore per la natura e tante altre cose ancora. Quei valori che animarono il periodo del dopoguerra, negli anni Cinquanta, e che hanno dato vita a quella speranzosa stagione rappresentata dal neorealismo nel cinema.
Dove sono finiti quei valori che tanti di noi avevano abbracciato con passione? Non nel Pd corroso dal neo liberismo e dalla globalizzazione mentre alla sua sinistra una babilonia di lingue confonde i propri adepti che invece di trovare comuni obiettivi, confliggono come i polli di Renzo. Non nell’Europa che ha tradito le proprie premesse e che è diventata ormai campo di battaglia di interessi contrastanti (paesi frugali contro paesi cicale), unica intesa comune è quella monetaria e di accettare passivamente il dominio degli Stati uniti che, a proposito di genocidi, a partire dallo sterminio e sottomissione degli indiani americani, ne sono stati moderni precursori.
Dunque da che parte volgere lo sguardo per tentare di intravedere il cambiamento? Forse lo vedranno le giovani generazioni se la catastrofe climatica non interverrà prima a cancellare ogni forma umana vivente. Anche loro, però, che dovrebbero essere incoraggiati nelle loro pratiche di resistenti, subiscono invece la persecuzione ossessiva dei governi, come è accaduto recentemente per i giovani di Ultima Generazione e Extinction Rebellion con la legge “eco-vandali” appena approvata.
Ritornando al film di Wenders, non è inutile ozio riflettere su quel messaggio di un io-sociale, come forma ultima e disperata di impegno politico. Poi, forse, come diceva Yourcenar, arriverà il momento in cui le parole dimenticate di umanità, giustizia e libertà ritroveranno il senso che noi abbiamo tentato di darle, ma per arrivare a quel momento bisognerà ancora lottare, ancora e per molto.
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