Oggi potrebbe essere un giorno importante per verificare valori che si danno per scontati nell’organizzazione della cultura in un paese civile, e che invece entrano solitamente da noi pericolosamente a rischio. Nella mattinata di oggi infatti il cda del Teatro di Roma dovrebbe finalmente partorire la nomina del nuovo direttore dell’ente. E non è semplice prassi di routine: riguarda infatti quello che dovrebbe essere il più importante dei teatri nazionali, per locazione, storia e prestigio. Ma anche perché gestore di molte sale della capitale (l’Argentina, l’India, Villa Torlonia e il gloriosissimo Valle, quando mai si riuscirà a riaprirlo) nel momento in cui le altre sale storiche sono chiuse o comunque sbarrate per motivi non tanto presentabili, dal Quirino «intermittente» allo scandaloso Eliseo (sala grande e sala piccola) che lo stato vorrebbe ora «ricomprare» da Luca Barbareschi per diversi milioni di euro, dopo aver letteralmente regalato al medesimo Barbareschi il malloppo per risultarne proprietario….

Ma la cosa più scandalosa, davvero drammatica, è che il luogo principe del teatro romano, lo stabile all’Argentina appunto, è praticamente «acefalo» da circa tre anni. Liquidata piuttosto malamente la coppia Emanuele Bevilacqua/Giorgio Barberio Corsetti insediata dalla giunta di Virginia Raggi, il teatro non ha più avuto una organizzazione interna degna di questo nome. Che non è solo questione di «immagine», ma di lavori, valori e rapporti che si sono rapidamente deteriorati, degradati a pura sopravvivenza tra commissariamenti temporanei e l’occupazione massiccia da parte di altre istituzioni, e da iniziative non propriamente pubbliche come il potentissimo festival Romaeuropa. Questo ha voluto dire che al di là di qualche spettacolo casualmente degno appunto di un «teatro nazionale»…. è passata sul palcoscenico anche diversa «fuffa».

QUESTA ASSENZA di guida, ha ovviamente illanguidito il rapporto con i dipendenti, mentre produceva una assoluta casualità di programmazione. Con la prima conseguenza immediata di un ovvio logoramento del rapporto con il proprio pubblico, e peggio ancora con il resto del teatro italiano e straniero. Soprattutto con il passaggio di mano tra elementi non strettamente coinvolti quanto a professionalità: tra commissari, facenti funzioni e altre «autorità» (perfino tra i tecnici) cresciute miracolosamente in carriera dentro l’istituzione, il Teatro di Roma ha finito col perdere sia il rapporto con gli altri teatri italiani, ma soprattutto ha fatto sbiadire ruoli e responsabilità al proprio interno. Ognuno si è sentito legittimato a reputarsi detentore di un piccolo o grande potere, di interessi talvolta bizzarri in lotta l’uno contro l’altro, per resistere o almeno sopravvivere. E così, sempre nel sovrano disinteresse, almeno all’esterno, delle istituzioni pubbliche della politica che dovrebbero esservi preposte (comune che pure è il maggiore azionista, regione e ministero della cultura), la situazione si è incancrenita.
Oggi però tutto questo bailamme si troverà di fronte a una scelta decisiva: la nomina appunto di una nuova direzione, che il teatro possa riprendere in mano con autorevolezza e capacità. E i «concorrenti» (ormai pubblicamente ammessi), impersonano bene opposte tipologie. Dopo infinite riunioni e scremature, in lizza sono rimasti un regista e un paio di organizzatori della scena italiana: Luca De Fusco, Marco Giorgetti attualmente alla direzione della Pergola e del sistema fiorentino, e Ninni Cutaia. Il primo ha diretto diversi teatri (da Napoli all’attuale Catania, avendo un sostenitore fedelissimo e costante in Gianni Letta, e ora l’intera destra schierata al suo fianco), il secondo dopo una lunga esperienza all’Eti ora guida la struttura regionale che fa capo alla Pergola, il terzo ha lavorato molto presso istituzioni pubbliche (dall’Eti fino al suo scioglimento, alla direzione di stabili e di festival, al ministero della Cultura, dove è responsabile della direzione per la creatività contemporanea, per la quale ha diretto le iniziative più smart anche della Biennale di Venezia).

ATTUALMENTE Cutaia sovrintende al Maggio musicale fiorentino, che in pochi mesi è stato capace di risanare da un buco di circa otto milioni di euro. La sede fiorentina d’altra parte sarebbe necessaria al ministro Sangiuliano per mettere una «toppa» al pasticcio del siluramento da parte della congrega meloniana nei confronti di Carlo Fuortes, estromesso dalla Rai e da «sistemare» quindi in un teatro adeguato. Il ministro ci aveva provato col San Carlo di Napoli, che in fondo dovrebbe essere anche il suo eventuale collegio elettorale, tentando goffamente di far fuori con un mezzuccio anagrafico il sovrintendente in carica, Stephan Lissner (personalità di altissimo livello, dall’Opéra di Parigi all’essere stato a fianco a Peter Brook nella conduzione delle Bouffes du Nord)..
Ma al di là delle evidenti disparità di valore, il problema centrale oggi sarà quello di scegliere al Teatro di Roma, la personalità più «necessaria», un direttore che diriga e progetti, senza occuparsi dei propri, sempre discutibili, risultati artistici. Con Massimo Castri e Luca Ronconi (e prima di loro ovviamente Strehler, che per altro aveva a fianco Paolo Grassi….) si è chiusa l’epoca della «direzione artistica». Questa richiede oggi precise e immancabili altre professionalità, che vanno ben oltre quelle squisitamente (e discutibilmente) «artistiche».