Cultura

Ibrahim Mahama, la realtà disabitata del pipistrello

Ibrahim Mahama, la realtà disabitata del pipistrelloIbrahim Mahama, «Voli-ni» (particolare)

Mostre In mostra in Italia fino al 29 gennaio 2023, parla l’artista ghanese che vive e lavora tra Accra, Kumasi e Tamale. «Voli-ni» è il progetto inaugurale di Eataly Art House, nell’ex Stazione frigorifera specializzata di Verona. «La crisi e il fallimento mi interessano perché offrono nuove opportunità, per lo sviluppo di nuovi linguaggi estetici e per un utilizzo che permette di mettere in atto il cambiamento sociale»

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 28 ottobre 2022

Nell’ex Stazione frigorifera specializzata di Verona, edificio industriale degli anni Trenta ristrutturato dall’architetto Mario Botta, Eataly Verona dà spazio all’arte contemporanea ospitando per il progetto inaugurale di Eataly Art House – E.ART.H. la mostra Voli-ni (fino al 29 gennaio 2023) dell’artista Ibrahim Mahama (Tamale, Ghana, 1987, vive e lavora tra Accra, Kumasi e Tamale), curata da Eva Brioschi con la partnership organizzativa di Apalazzogallery di Brescia.

La nuova serie di collage realizzati con ritagli fotografici e materiali d’archivio, tra cui Captain’s lament, Arijanah, Dunne II Pla e Voli-ni è accompagnata da una grande installazione che occupa integralmente il lungo corridoio del primo piano. La mostra è anche un’esperienza «phygital» con contributi multimediali fruibili in digitale.
Formatosi alla Kwame Nkrumah University of Science and Technology di Kumasi con specializzazione in pittura, Mahama è un artista di fama internazionale ma è anche un grande sognatore con una visione lungimirante. Instancabile promotore culturale, ha creato in Ghana tre importantissime hub destinate a spazio di ricerca e museale. Nel 2019 ha creato il Savannah Centre for Contemporary Art (Scca) di Tamale, seguito dal Red Clay a Janna Kpenn e, nella primavera 2021, dopo aver acquistato e restaurato il silo di epoca post-coloniale lo ha trasformato in una nuova istituzione educativa di Tamale. «Metto in discussione le relazioni tra il vecchio e il nuovo – afferma Ibrahim Mahama – il formale e l’informale, il globale e il locale».

Ibrahim Mahama, foto di Manuela De Leonardis

Crisi e fallimento, negoziazione e scambio sono tematiche ricorrenti nella sua opera…
Sì, sono materie prime del mio lavoro. Le trovo nei materiali che uso, a cominciare dai teloni e dai sacchi di iuta importati dalla Ghana Cocoa Boards per contenere le fave di cacao e che diventano oggetti multifunzionali, utilizzati per il trasporto di cibo o carbone (come nelle monumentali installazioni a Kassel per Documenta 14 nel 2017, sulle pareti dell’Arsenale in occasione della 56/a Biennale di Venezia nel 2015, ai caselli daziari di Porta Venezia a Milano nel 2019 e, sempre rimanendo in Italia, con Voli-ni, 1966-2021 realizzata alla Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare per la mostra della XXIII edizione del premio Pino Pascali, ndr). Anche le architetture abbandonate assorbono questi elementi che sono sempre collegati a temi sociali e politici, in particolare alle transazioni globali e al modo in cui funzionano le strutture capitaliste. La crisi e il fallimento mi interessano perché offrono nuove opportunità, sia per lo sviluppo di nuovi linguaggi estetici che per un utilizzo che permette di mettere in atto il cambiamento sociale che è quello che sto facendo attraverso gli spazi che ho acquistato a Tamale con i guadagni del mio lavoro di artista. Contenitori culturali destinati agli studenti, così come gli aerei dismessi che ho convertito in aule per i bambini.

Il riuso e riciclo dei materiali è alla base del processo, lei segue una metodologia?
Il processo dipende dal progetto. Nel libro Voli-ni (co-curato con Eva Brioschi e pubblicato da Lenz, ndr), ad esempio, intervengo sulle fotografie disegnandoci sopra, scrivendoci. Le immagini diventano così degli appunti da elaborare.

Si è sempre espresso attraverso il linguaggio fotografico…
La fotografia mi permette di relazionarmi alla realtà. Uso la fotografia d’archivio che trovo insieme a documenti e altri materiali negli edifici abbandonati, ma anche le immagini che scatto io stesso. Dal 2015, ritraggo i silos cogliendone le molte potenzialità. Subito dopo l’indipendenza del Ghana, nel 1957, c’era una grande richiesta per i paesi africani di essere economicamente indipendenti e di immagazzinare enormi quantità di cibo. Quando, però, Kwame Nkrumah (leader rivoluzionario e primo presidente del Ghana, ndr) fu destituito, nessuno di quei progetti fu portato avanti e gli edifici furono abbandonati e poi privatizzati e venduti.

Nel suo lavoro la scala assume una forte valenza simbolica…
La scala mi permette di rendere visibile il concetto. Non è legata all’idea di monumento. In questa struttura che ho realizzato con le gabbie a rete utilizzate dai pescatori per affumicare il pesce ho assemblato alcuni materiali, in parte d’archivio, relativi alla storia del Ghana che non sarebbero mai stati accostati tra loro. Ma c’è anche un altro elemento che qui è molto forte e che mi permette di restituire dal vivo la memoria: l’odore. Un odore molto forte di pesce e salsedine con cui sono impregnati questi oggetti e che diventa la sua caratteristica.

In molte opere è ricorrente l’icona del pipistrello che si trasforma in pattern e poi in simbolo…
Durante la pandemia di Covid-19 mi dicevano di liberarmi dei pipistrelli che vivevano nel Nkrumah Volini, il silo di Kwame Nkrumah che ho acquistato a Tamale, perché erano portatori del virus. In realtà siamo noi umani a veicolare i contagi, non loro. Mi interessa la capacità di resistenza e adattamento dei pipistrelli che, insieme ad altri animali, rettili e uccelli, vivevano lì e avevano creato un proprio ecosistema. Ho deciso di lasciarli in pace nel loro «territorio» perché assumono anche un valore simbolico: è importante per tutti trovare dei modi per coesistere, assumendo la responsabilità di come, nel mondo, si occupano spazi.

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