Quello della rappresentanza è tema generale che va articolato a vari livelli. L’articolo, di Ardeni e Bonaga uscito su il manifesto 19 dicembre del 2020, seguito da tanti altri contributi n questi mesi – lo affronta, in riferimento alla politica, in particolare sul tema «partito».

Io vorrei senza però sfuggire a riflessioni generali e comuni, concentrarmi sul sindacato e più in generale sul ruolo delle forze sociali. Il bell’esempio della «nave nella rada» peggiora quando la nebbia ti circonda in piena navigazione. Sul tema della rappresentanza e della sua crisi, i principali aspetti citati sono condivisibili: chi e quanto si rappresenta; chi si vorrebbe rappresentare attraverso percorsi trasparenti e certificabili; come si risponde alle aspettative delle persone sottoponendosi anche al loro giudizio.

Diversi aspetti della partecipazione che richiamano il tema della cittadinanza attiva, non intesa come acquiescenza ma, nel suo vero ruolo di conformità di intenti e quindi di sostanza democratica. L’articolo, declina tre modalità rispetto al ruolo della partecipazione: consenso (si cita quello elettorale), deliberazioni partecipate, capacità di trasformazione. Tutte modalità che prevedono per i cittadini un ruolo attivo e che evita il rischio di accomunare tutti in maniera indistinta.

Se così non fosse, se partecipare o votare non apparisse determinante perché si decide a prescindere o comunque altrove, il populismo o la tecnocrazia diventano la soluzione. Humus di un pensiero unico che porta a forme di decisione o governo oligarchiche. Abbiamo già avuto numerosi esempi in questo senso.

In questo contesto, va inserito e approfondito il ruolo delle parti sociali e dei corpi intermedi, quell’ampio reticolo che da anni svolge attività in modo spesso convergenti. Se, la funzione a cui si intende relegarle non fosse quella storica e fondamentale di raccordo tra società e stato, il rischio è di un modello sociale neo corporativo e che la rappresentanza si trasformi in lobby di interessi, in cui le associazioni si autolegittimano singolarmente e reciprocamente, rendendo cosi residuale il ruolo delle persone e dei lavoratori.

Tracce di questi problemi sono già riscontrabili in dinamiche nazionali ed europee di alcune associazioni di interesse economico. La crisi pandemica e la conseguente crisi economica e sociale accentua questi rischi perché vede, soprattutto dalla seconda fase, una profonda trasformazione delle persone e del loro modo di pensare sulla base delle condizioni materiali, dell’aumento dello stress, della solitudine e delle paure, con un incremento di insofferenza e aggressività.

Anche per questo, il tema della democrazia della rappresentanza è così difficile da realizzare.
Per un sindacato il percorso è ancora più complicato rispetto a chi tende a legittimarsi principalmente attraverso il voto. Per organizzazioni che ancora rappresentano direttamente milioni di persone l’esercizio effettivo della rappresentanza non può che essere riscontrabile in un mix tra iscritti e voto, dando su quella base il mandato a decidere e a concludere accordi, ma rimettendo al voto di tutti gli interessati il giudizio finale. Solo così ha senso parlare contemporaneamente sia di conflitto che di dialogo sociale.

Un percorso di piena responsabilizzazione dei soggetti, che abbia come baricentro il territorio, con il paradosso che nonostante le organizzazioni sindacali lo richiedano, si verificano forti resistenze alla sua realizzazione per i motivi prima indicati.

Spero di non aver oltrepassato gli ambiti che l’articolo intendeva proporre.
In sintesi vorrei concludere affermando che, non sono certo che le ideologie siano finite, ma sicuramente per realizzare questo percorso serve riproporre con orgoglio concetti come identità e idealità.

* Presidente della Fondazione Di Vittorio