La rana gonfia della delega sulle intercettazioni
Ri-Mediamo La rubrica settimanale a cura di Vincenzo Vita
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Quella delle intercettazioni è ormai un’ossessione, gonfia come una rana di messaggi impliciti e di più espliciti valori simbolici.
Si vuole dire, da parte del governo, che l’informazione non è un bene comune, bensì una costola di chi ha in mano il potere, ancorché pro tempore. E il grado di trasparenza dipende dalle scelte soggettive di chi dà le carte. Per di più, una politica così debole deve stringere i bulloni e rendersi impermeabile al giudizio dei «sudditi».
E sì, perché tutta questa vicenda non riguarda i poveri della terra, su cui è considerato lecito esercitarsi con cinico voyeurismo, bensì le aree privilegiate della società.
Chissà se il ministro della giustizia Orlando, che pure è persona di buon senso con qualche velleità di distinzione dal mainstream prevalente, ha ben calcolato i danni che provocherebbe –se mai entrasse in vigore- la delega prevista dalla legge 103/2017 sul processo penale (passata con il voto di fiducia), stando al testo girato su carta intestata del ministero.
È vero che il ministro si è parzialmente dissociato, ma il colpo di freni potrebbe essere solo un modo per stemperare le polemiche, visto che le consultazioni di inizio settimana con l’unione camere penali e con l’associazione magistrati si sono svolte sulla base dell’articolato contestato. Quest’ultimo conteneva (contiene?) aspetti tanto gravi quanto grotteschi.
La federazione della stampa ha scritto una lettera al ministro in cui si sostiene che lo schema di decreto è in contrasto con le norme europee.
Del resto, la scelta di imporre la scrittura di un sunto delle conversazioni telefoniche significa contraddire le regole elementari della narrazione, dove sono proprio i particolari apparentemente secondari e soprattutto i virgolettati ad agevolare l’interpretazione. Il resto, quello non reso noto, verrebbe custodito in archivio apposito. I malintenzionati sono, di conseguenza, spinti a maggior ragione a fare «mercato nero» delle parti segrete.
La trasparenza è l’unico mezzo concreto per contrastare eccessi e devianze, rendendo agevole e «normale» la conoscenza.
E poi, il divieto di registrazione di certi colloqui, magari in un bar, in un ristorante, o in un distributore di benzina.
Ecco, se si applicassero le disposizioni immaginate, forse sapremmo poco o nulla della ultime vicende criminali italiane: da «Mafia Capitale» all’affare Consip.
Ha fatto bene la federazione della stampa a dichiararsi indisponibile a qualsiasi incontro se non vengono definiti i margini reali della discussione, e se Orlando non chiarisce che ne è della promessa misura sulle querele temerarie.
Le esose richieste di risarcimento ai danni di giornalisti spessissimo precari e free lance sono un ricatto permanente, moralmente inaccettabile. Invece che alle intercettazioni si pensi ai problemi concreti di una professione ormai difficile e rischiosa.
Vedremo che succederà nei prossimi giorni. Alle reazioni polemiche di 5Stelle e di Sinistra italiana si è unita una presa di posizione preoccupata del capogruppo del partito democratico in seno alla commissione giustizia della camera dei deputati Walter Verini.
Se non si prenderà atto dell’assurdità dell’ennesima forzatura, sarà indispensabile costruire una vasta mobilitazione: già avvenne quando governava Berlusconi. Diverse associazioni («Articolo21» e «NoBavaglio») hanno lanciato appelli e richieste di impegno.
E ci sovviene la grande manifestazione del 3 ottobre 2009 sulla libertà di informazione, in piazza del Popolo a Roma: c’era anche Paolo Gentiloni.
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