La Rai, Santoro e la sinistra
Televisione Il probabile rientro di Santoro nella squadra Rai è una bella notizia per l’informazione pubblica. Santoro il «tribuno», «l’arruffapopolo», come fu chiamato ai tempi di Samarcanda, è stato l’inventore del […]
Televisione Il probabile rientro di Santoro nella squadra Rai è una bella notizia per l’informazione pubblica. Santoro il «tribuno», «l’arruffapopolo», come fu chiamato ai tempi di Samarcanda, è stato l’inventore del […]
Il probabile rientro di Santoro nella squadra Rai è una bella notizia per l’informazione pubblica. Santoro il «tribuno», «l’arruffapopolo», come fu chiamato ai tempi di Samarcanda, è stato l’inventore del talk politico «militante», un genere che si è sviluppò tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ‘90. Un periodo in cui l’informazione cambiò moltissimo in televisione, e la televisione, conquistando spazi e pubblico mai avuti prima, ed una identità che nel giro di poco tempo trasformò un genere dal ruolo spesso ancillare, pur con le debite eccezioni (Biagi, Zavoli, Barbato), in un genere la cui centralità fece diventare il video un nuovo formidabile attore della scena politica.
Non è questo il momento di raccontare la parabola altalenante di quella tv «impegnata», fino al declino del talk politico, ucciso dalla moltiplicazione della formula, dalla ripetitività dei formati, e da un irrefrenabile rifiuto dei corpi intermedi ( sì, non solo i partiti, ma anche i media) provocato dall’antipolitica e dagli sviluppi della Rete; ma, in ogni caso, un professionista come Santoro, con la sua esperienza, con la sua storia ed il suo indubbio «peso specifico», potrà essere una risorsa importante per il servizio pubblico. Del resto non si capirebbe come mai in Rai ci possa stare un giornalista oramai avanti negli anni di servizio, per così dire, come Bruno Vespa e non uno come Michele Santoro. O Gad Lerner, un altro che di quella tv «militante» fu un protagonista indiscusso e che i nuovi dirigenti hanno pensato di richiamare in squadra.
Naturalmente non si tratta di rifare quella televisione, che visse in una stagione irripetibile: la gente, la piazza, le polemiche. Ma di offrire a degli autori indiscussi, che hanno dimostrato di saper fare informazione, eccome, la possibilità di ritornare ad essere un valore aggiunto per la Rai.
Prima di chiudere, però, non possiamo non accennare all’ultima puntata di In mezz’ora, che ha ospitato, di nuovo, il grillino Di Maio. Era la terza volta che il vicepresidente della Camera si presentava nel programma, l’ultima addirittura meno di un mese fa: un record (Renzi c’è stato «solo» due volte).
Ma al di là di questo fatto, abbastanza singolare (era per riequilibrare?), o della puntuta professionalità di Lucia Annunziata, una cosa non si capisce: perché nel corso dell’annata 2015-2016 ella, che pure ha ospitato nella sua trasmissione, ad occhio, una decina o poco meno di esponenti di centrosinistra, altrettanti di centrodestra, quattro-cinque volte i grillini, una serie di rappresentanti dell’economia, della società civile e della Chiesa (da Tito Boeri a Davide Serra, dal prefetto Gabrielli a Renzo Piano, da mons. Galantino a Ilaria Cucchi), non abbia mai sentito la necessità di invitare una sola volta, dicasi una, (a parte la presenza di Cofferati, insieme a Boldrini e Fornero, il primo maggio) uno degli esponenti di quella sinistra italiana (con le minuscole), sì marginale, un po’ confusa e poco strutturata, ma presente nel paese e in Parlamento, che, al di là delle sue vicissitudini, un po’ di attenzione l’avrebbe meritata e qualche leader spendibile sullo schermo ce l’ha (Civati, Fratoianni)?Magari solo per par condicio. E visto che siamo in un servizio pubblico.
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