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La Rai ai cittadini

Sarà vera la volontà di riformare la Rai o è solo un «falso movimento»? Qualcosa si muove, dopo anni di tentativi naufragati e forse neppure davvero convinti. Tanto in televisione […]

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 4 marzo 2015

Sarà vera la volontà di riformare la Rai o è solo un «falso movimento»?

Qualcosa si muove, dopo anni di tentativi naufragati e forse neppure davvero convinti. Tanto in televisione basta andarci. Ecco quello che conta, almeno per una parte cospicua del ceto politico. Fu questa la “filosofia” prevalente nella seconda metà degli anni novanta, quando il progetto di riordino del servizio pubblico del centrosinistra fu boicottato insieme alla legge sul conflitto di interessi. Prevalse la grave sottovalutazione della portata del sistema dei media, prossimo a diventare – al contrario – esso stesso soggetto politico, strapotere tra i poteri.

Con il berlusconismo imperante il servizio pubblico andava circoscritto e sospinto al di fuori dei trend dello sviluppo integrato (il matrimonio con telefoni e rete), lasciandolo volteggiare nel limbo della logora offerta generalista. Il “duopolio” cominciava a prendere i volti di Sky e di Mediaset, con la Rai sospinta in serie B. Proprio la vicenda più recente, vale a dire il tentativo di conquista di RaiWay da parte di EI Towers (e chissà come andrà a finire) sembra l’urlo di avvio della guerra finale. Dove proprio il servizio pubblico si gioca la partita della vita. Ecco, allora, perché è importante riprendere finalmente il cammino di una «riforma di struttura».

Il governo ha annunciato la presentazione di un suo progetto, e l’ha detto più di una volta. Siamo in attesa. Altri articolati sono stati nel frattempo depositati: Anzaldi (che riprende la proposta dell’allora Ministro delle comunicazioni Gentiloni), Marazziti: per stare nell’area della maggioranza. E proprio ieri, per passare alle opposizioni, è stata divulgata la proposta del Movimento 5Stelle. Interessante, perché rende assai rigorosi i criteri di scelta dei consiglieri di amministrazione, sottoposti a una valutazione di merito stringente. Anche se appare curioso l’affidamento di un atto tanto delicato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che certo non si è rivelata in quest’ultimo scorcio di tempo campione di attività e di solerzia. Anzi.
Comunque, lo sforzo di Roberto Fico e dei colleghi ha diversi aspetti utili, da tenere in conto nell’immaginare una discussione aperta e senza preconcetti.

A tal fine, un bel gruppo di parlamentari (Nicola Fratoianni e Pippo Civati, Arturo Scotto, Sandra Zampa, Luca Pastorino e Annalisa Pannarale) ha elaborato un’ipotesi normativa convincente, nonché innovativa nel metodo. È il frutto, infatti, di un lungo e partecipato confronto istruito dal «MoveOn-Italia.La Rai ai cittadini», movimento nato qualche anno fa sull’onda dell’esperienza venuta dagli Stati Uniti. I punti essenziali dell’articolato riguardano in primo luogo la funzione di “bene comune” attribuita al servizio pubblico, il cui ruolo deve aumentare e non diminuire nell’era digitale, per evitare ulteriori divisioni culturali e sociali.

La Rai può trovare prospettive e strategie adeguate se diviene lo strumento per la diffusione gratuita e generale di tutte le piattaforme tecnologiche. Inoltre, il consiglio di amministrazione è eletto da un organismo indipendente e rappresentativo del mondo della società civile: il Consiglio per le Garanzie del servizio pubblico, formato solo in parte ridotta da espressioni direttamente politiche (6 membri su 21 indicati dal Parlamento).

Insomma, la scelta di liberare la Rai dall’antica servitù della lottizzazione passa dalla teoria alla prassi. A breve scade il consiglio della Rai. Per cortesia, la legge Gasparri questa volta no.

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