La questione della «forza» e il rimosso della violenza operaia
Indagini «I senza nome. Il Servizio d’ordine e la questione della «forza» in Lotta continua» di Fabrizio Salmoni, per DeriveApprodi. Il racconto di chi fu uno dei protagonisti di quella vicenda, delle discussioni e delle polemiche politiche e umane intorno al ruolo e al significato del servizio d’ordine nella vicenda di Lotta continua e in particolare di quella torinese
Indagini «I senza nome. Il Servizio d’ordine e la questione della «forza» in Lotta continua» di Fabrizio Salmoni, per DeriveApprodi. Il racconto di chi fu uno dei protagonisti di quella vicenda, delle discussioni e delle polemiche politiche e umane intorno al ruolo e al significato del servizio d’ordine nella vicenda di Lotta continua e in particolare di quella torinese
«Fòrza s. f. – In generale, la qualità o la condizione d’esser forte, e insieme anche la causa che dà la possibilità d’esser forte». Questa è la definizione di «forza» che troviamo sul sito della Treccani. Un termine a cui associare indiscutibilmente un valore positivo.
LOTTA CONTINUA, il più importante dei gruppi della nuova sinistra, utilizzava, in maniera «gesuitica», questo termine per parlare dell’uso della violenza e poi del ruolo del proprio servizio d’ordine. È questo il tema al centro de I senza nome. Il Servizio d’ordine e la questione della «forza» in Lotta continua di Fabrizio Salmoni (DeriveApprodi, pp. 288, euro 20). Va chiarito subito che non si stratta di un libro che affronta con un approccio storiografico, o sociologico, o antropologico il tema della violenza all’interno della lunga stagione dei movimenti che caratterizzò buona parte degli anni ’70 italiani. È un libro di memorie, il racconto di chi fu uno dei protagonisti di quella vicenda, delle discussioni e delle polemiche politiche e umane intorno al ruolo e al significato del servizio d’ordine nella vicenda di Lotta continua e in particolare di quella torinese.
Il punto di partenza per la giovane organizzazione rivoluzionaria fu la strage di piazza Fontana nel dicembre del ’69 e la campagna contro gli anarchici: «…il problema di come difendersi, in che modo e con quali criteri imporre il proprio diritto a stare in piazza, come difendere le lotte sul territorio, le conquiste, le proteste, le occupazioni di fabbrica e di scuola».
La descrizione della nascita del servizio d’ordine e dei suoi compiti, tra i quali c’era anche quello della raccolta di informazioni, è molto utile e offre degli elementi di conoscenza in più rispetto alla lettura affermatasi in ambito storiografico che vede nei servizi d’ordine e soprattutto nella «schedatura» dell’avversario solo i prodromi del terrorismo e dell’imbarbarimento della lotta politica. In sostanza i gruppi mettono in discussione due attività considerate monopolio dei poteri costituiti: l’uso della forza e quello della schedatura dei «soggetti pericolosi».
Nel lavoro di Salmoni è importante l’attenzione rivolta a un tema in genere evitato nelle ricostruzioni di quegli anni: la violenza operaia nel conflitto di fabbrica. Un articolo apparso in Lotta continua nel luglio ’70 è particolarmente significativo, pur facendo tutta la tara necessaria sul trionfalismo dell’allora settimanale.
«Incomincia il corteo più entusiasmante di tutte le lotte Fiat: entusiasmante per chi c’è dentro, terrorizzante per chi è fuori. I capi, i delegati, i crumiri, i guardioni, gli impiegati fuggono e si rintanano, ma ogni tanto un operaio ne becca due nascosti in un refettorio e li presenta ai compagni tenendoli per il bavero… È guidato da un operaio che batte il tam-tam su una latta e basta un suo cenno per dirigerlo a destra o a sinistra. Segue un cordone di testa, che è in realtà un cordone che due operai lanciano pigliando al lazo i crumiri e i capi acquattati all’ombra delle macchine… poi 10mila operai ognuno con una sbarra di ferro in mano che scandiscono “Agnelli, l’Indocina ce l’hai in officina”».
IL TEMA DELLA VIOLENZA operaia è un sostanziale rimosso dalle numerose riflessioni sulla violenza politica. Parlarne significa infatti chiamare in causa non solo i «cattivi maestri» ma anche le organizzazioni sindacali che proprio in quegli anni, «cavalcando la tigre» del conflitto operaio e quindi in qualche modo «legittimando» le pratiche e le modalità di lotta, riescono a riprendere il controllo del movimento esploso autonomamente nelle fabbriche.
PURTROPPO, nel resto del volume il racconto nostalgico di quegli anni marcia di pari passo a una sorta di rancorosa resa dei conti contro la dirigenza di Lotta continua, accusata sostanzialmente di essere composta da «intellettuali borghesi», interessati al loro destino individuale, e «femministe» alleate con la «destra» dell’organizzazione per distruggerla. In questo senso la lettura diviene in qualche modo «straniante».
Tra un ricordo dei libri di Del Carria sui Proletari senza rivoluzione (qui la colpa della mancata rivoluzione non è più dei riformisti ma dei leader di Lotta continua), e la rappresentazione delle incredibili divisioni, tensioni, polemiche, veri e propri odi, che attraversarono il piccolo mondo della militanza nella sinistra rivoluzionaria. Salmoni ha una fede incrollabile nel fatto che la classe operaia fosse ancora all’offensiva nel ’76, quando Lotta continua implose nelle sue contraddizioni. Il conflitto operaio non era un tramonto scambiato per l’alba: era un’alba radiosa, tradita. «E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire».
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