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La questione ambientale è senso comune

L’81% degli italiani prova un timore crescente per la situazione ambientale. È quanto emerge da una recentissima indagine dell’istituto di ricerca SWG che ha chiesto a un campione rappresentativo nazionale […]

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 24 gennaio 2019

L’81% degli italiani prova un timore crescente per la situazione ambientale.

È quanto emerge da una recentissima indagine dell’istituto di ricerca SWG che ha chiesto a un campione rappresentativo nazionale di 2.000 maggiorenni di indicare quanto concordassero con l’affermazione «La situazione ambientale del luogo in cui vivo mi preoccupa sempre di più».
Si tratta di un dato in netta crescita già rispetto allo scorso anno, quando solo il 71% delle persone aveva risposto allo stesso modo, mentre dal 2011 al 2016 la percentuale dei soggetti preoccupati per l’ambiente era oscillato fra il 67 e il 69%.

Ogni intervistato ha poi potuto indicare i quattro problemi legati all’ambiente sui quali, secondo lui, è necessario intervenire con maggiore urgenza. Al primo posto ci sono il surriscaldamento globale e la gestione dei rifiuti, indicati dal 42% dei soggetti intervistati, a seguire l’inquinamento delle acque (36%) e quello dell’aria (32%).
Una preoccupazione condivisa ormai anche da organismi che certo non possono essere tacciati di «ambientalismo spinto» e che anzi hanno vere e proprie responsabilità rispetto a quanto sta accadendo all’ambiente. Il World Economic Forum, nel Global Risks Report 2019 individua i rischi ambientali, quali i fenomeni atmosferici estremi, la mancanza di azioni sul clima e la perdita di biodiversità, come le più grandi sfide con cui l’umanità deve fare immediatamente i conti.
È importante che la consapevolezza dei rischi ambientali sia ormai così diffusa anche in ambienti che finora sono stati molto poco attenti a tali tematiche: nel programma del meeting annuale di Davos, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità saranno affrontati come problemi da considerare rispetto al progresso sociale ed economico, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) per il 2030 delle Nazioni Unite.

Questa consapevolezza, però, ancora non si traduce in azioni e politiche concrete. Né, d’altra parte, è stata sufficientemente messa in evidenza l’interconnessione tra le varie questioni ambientali. «Riconoscere i pericoli provocati dal cambiamento climatico e dalla perdita di biodiversità non è sufficiente», avverte il direttore generale del WWF internazionale, Marco Lambertini: è ora che governi e imprese agiscano rapidamente compiendo le scelte necessarie per fermare un treno che per troppo tempo è stato lasciato correre senza controllo verso la catastrofe.

La pressione dell’opinione pubblica è fondamentale. Così come fondamentale è il nostro esercitare scelte consapevoli in quanto cittadini, adottando stili di vita più sostenibili, consumatori, privilegiando prodotti e servizi a basso impatto ambientale, ed elettori, dando fiducia a quelle forze politiche e a quegli amministratori che dimostrano di avere programmi ambiziosi nel campo della tutela ambientale.

Anche perché non mancano voci discordanti, fortunatamente isolate. Proprio ieri al Campus dell’Università «Gabriele d’Annunzio», a Chieti, si è tenuta la presentazione di un libro che nega i cambiamenti climatici. Senza prevedere alcun contraddittorio, una frangia talmente minoritaria da essere fuori da qualsiasi discussione scientifica mondiale, ha potuto così illustrare in una sede universitaria dati che sono stati confutati migliaia di volte. Un’università, che dovrebbe essere un luogo di ricerca e studio, di crescita culturale e confronto tra ricercatori e scienziati, ha preferito dare spazio ai negazionisti: sarà anche questo un effetto del clima impazzito?

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