L’assemblea permanente dell’Istat e le rappresentanze sindacali Rsu denunciano il rischio di un progressivo indebolimento dell’autorevolezza dell’Istituto nazionale di statistica com’è già avvenuto in questi anni in paesi come la Spagna, la Grecia o la Turchia dove l’informazione statistica è diventata il terreno di contesa politica.
Nel «Contro-rapporto annuale sulla situazione dell’Istat 2022» presentato ieri dai lavoratori si ripercorre la storia della presidenza di Giancarlo Blangiardo, la sua contestata vicinanza con una parte politica (Lega Nord, o Forza Italia) e si pone il problema dell’«autorevolezza, dell’autonomia e della terziarietà di coloro che sono chiamati a dirigere l’istituzione».

Esito di una mobilitazione iniziata il 24 maggio scorso, il rapporto è stato preparato dallo sciopero del 20 giugno indetto da 7 delle 8 sigle sindacali attive. 800 lavoratori, il 50% del personale, ha aderito. Ieri, in coincidenza con la nuova edizione del «Rapporto annuale sulla situazione del Paese 2022», i lavoratori hanno chiesto «un radicale cambio culturale e generazionale ai vertici» e le «dimissioni del Presidente, del Dg, del Direttore delle risorse umane e informatiche»; «l’avvio della procedura di nomina del nuovo presidente, evitando lunghi periodi di vacatio»; e si oppongono alla partecipazione dell’Istat alla società «3-I» e «all’esternalizzazione e alla privatizzazione della statistica pubblica»; chieste anche nuove modalità di «lavoro agile» in tempi di Covid.

Nell’analisi si dimostra la riduzione del personale Istat da 2.321 addetti del 2014 a 1.869 a metà 2022. Il risultato è riconducibile alle «cessazioni dei rapporti di lavoro che non sono state compensate da nuove assunzioni». Ad avviso dei lavoratori questo implica «una pianificazione errata» e «una colposa sottovalutazione della situazione, finalizzata presumibilmente a disegnare un diverso assetto dell’Istat». A ciò si aggiungono le «mancate progressioni di carriera e la conseguente svalutazione delle retribuzioni».