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La protesta del Tasso contro la repressione

La protesta del Tasso contro la repressioneRoma, la protesta al Liceo Tasso

Roma Sit in silenzioso davanti al liceo capitolino, dopo la propaganda del ministro Valditara a favore delle sospensioni e dei 5 in condotta. La scuola ha fatto una lista con i 30 che a dicembre avevano occupato, 170 si sono autodenunciati in solidarietà

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 20 gennaio 2024

Questa è la cronaca di come una banale dialettica tra studenti occupanti e dirigenza scolastica, meritevole tuttalpiù delle pagine locali, sia diventata, a causa della propaganda (del governo e dell’opposizione), una questione nazionale dove tutto è esposto, chat dei genitori, bisbigli dei docenti, tranne le motivazioni che hanno spinto i ragazzi a protestare. Ieri gli studenti e le studentesse del Liceo oggetto della questione, il Tasso, nel pieno centro di Roma, hanno organizzato un «sit-in silenzioso» davanti l’istituto. La storia comincia a dicembre scorso, quando il liceo alle spalle di Via Veneto, frequentato dalla borghesia colta progressista, viene occupato, come gran parte delle superiori della Capitale.

AL TERMINE dell’occupazione, 170 studenti e studentesse (più di quelli che avevano effettivamente partecipato alla protesta sulla quale non c’era accordo tra le rappresentanze studentesche) si sono subito autodenunciati «per solidarietà con i 30 che erano stati visti entrare a scuola nei giorni dell’occupazione e segnati su una lista», racconta uno studente del collettivo del Tasso. Il preside, Paolo Pedullà, decide di adottare una linea molto dura e propone agli organi collegiali, che si pronunceranno nei prossimi giorni, per gli studenti 10 giorni di sospensione (8 con attività socialmente utili) più 5 in condotta al primo quadrimestre. A questo punto la destra interviene pubblicamente, leggendo nelle azioni del dirigente un assist alle politiche securitarie e di repressione del dissenso del governo, come la revisione della condotta in senso restrittivo, il decreto Caivano, la criminalizzazione dei movimenti giovanili ambientalisti.

IL PRIMO A INTERVENIRE è il ministro dell’Istruzione (e merito) Valditara che dichiara «apprezzamento» nei confronti del dirigente del Tasso «per la fermezza dimostrata, la scuola democratica è quella che insegna a rispettare le regole». Seguito poi dal suo collega alle Infrastrutture Salvini, che scrive sui social «giusto così, chi occupa e rompe paga». Anche se di rotto, in realtà, non c’è stato quasi nulla. Se non il portone di ingresso forzato, denuncia il collettivo, «da studenti di altre fazioni politiche che già conosciamo; l’accusa di vandalismo tradisce sfiducia nei nostri confronti e nelle nostre rivendicazioni».

L’ASSOCIAZIONE DIRIGENTI scuola ne approfitta per parlare delle occupazioni come di «una pratica deprecabile» e plaudire a «tutti quegli interventi pensati per farle perdere». Il preside, nel ringraziare Valditara per le sue parole di sostegno «che riconoscono la valenza educativa di un percorso di consapevolezza democratica voluto dal collegio dei docenti, di cui sono semplice interprete», sottolinea però che «analogo percorso è stato intrapreso, ancor prima che dal nostro liceo, da molte altre scuole romane». Ed è vero ma a viale Trastevere non devono averlo visto. «La fortuna e la sfortuna del Tasso – tenta di spiegare una studentessa – è che siamo percepiti come una scuola di figli di papà ‘de sinistra’, questo da un lato ci permette di dare voce anche alle istanze delle scuole meno in vista, come i professionali, dall’altro ci espone alla strumentalizzazione politica». Anche dell’opposizione.

DIVERSI GLI ESPONENTI del Pd che hanno fatto lanci di agenzia sulla vicenda stigmatizzando la dirigenza. Poi sono intervenuti anche i genitori, alcuni noti, e le analisi «sull’interventismo» delle famiglie. Ed è stato restituito un quadro paternalista della vicenda senza le istanze degli e delle occupanti. Il collettivo accusa le «voci false e pretestuose che hanno distolto l’attenzione dalle rivendicazioni». E il racconto della faida genitoriale fa dire a F. (17 anni) «non siamo bambini piagnoni e i nostri genitori non parlano per noi, sono state strumentalizzate le parole di quelli che hanno un po’ di fama».

G. (DOCENTE) ammette di sentirsi confuso dalle accuse di repressione: «Abbiamo solo applicato il regolamento, come doveroso. Se non avesse parlato Valditara non sarebbe scoppiato questo putiferio. Come me, molti professori sono al sit in perché pensano che i temi di cui hanno discusso i ragazzi durante la settimana di occupazione, transfemminismo, inclusione, ambientalismo, siano tutti meritevoli, certo ora il dialogo fra le parti va ricostruito».

LA COMUNITÀ studentesca ribadisce le ragioni della protesta: «Vogliamo una società più uguale, studenti e famiglie non devono essere lasciati indietro, servono fondi per il welfare studentesco, l’accesso per tutti all’istruzione e che si prenda una posizione di pace sulle vicende attuali. Alle spese militari, preferiamo fondi per l’istruzione. Chiediamo alla comunità scolastica di concentrarsi su questo ma al nostro grido rispondono con le punizioni. Ci assumiamo le responsabilità di questo atto inteso come libera espressione del pensiero e di manifestare».

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