La promessa di Nneka
FemmineFolli Una figura esile e tanta grinta da vendere. La cantante africana nella notte torrida in una magica onda caliente
FemmineFolli Una figura esile e tanta grinta da vendere. La cantante africana nella notte torrida in una magica onda caliente
Una figurina esile in grosse sneakers, leggins, vestito largo stampato con motivi neri di memoria africana. Una lunga sciarpa che diventerà scialle, copricapo, turbante. La selvaggia chioma domata da una fascia scura. Più della metà del primo pezzo lo canta fuori scena, con i musicisti sul palco e lei che, nascosta nelle retrovie, declina le note con voce potente e calda. All’apparizione è un elfo mascherato che assume le pose di un giocattolino caricato a molla, si sgranchisce e tira fuori la grinta. Nneka, musa tedesco-nigeriana tra Lauryn Hill e Neneh Cherry, bella come Sade.
La musica, tra il dub il reggae e l’elettronico, trascina il pubblico in una danza festosa e sorridente, comune e pacifica che mi ricorda atmosfere mille volte raccontate da testimoni dei lontani anni Settanta. Sarà anche il luogo che contribuisce: il grande campo Boario, circondato dal Villaggio Globale (quella grande costruzione occupata dove negli anni 90 si facevano feste, esposizioni, concerti) e dai capannoni dell’ex Farmer Market, ex Mattatoio, ora museo Macro della Pelanda (evidente simbolo della natura ondivaga della distribuzione dei luoghi per la cultura a Roma).
Non credevo che ce l’avrei fatta: sono stanca, ho dormito poche ore la notte scorsa, ho fatto valigie tutto il giorno, eppure al secondo brano sono già in pista a saltare come un’indemoniata. I corpi attorno sono variopinti: uomini in larga maggioranza barbuti con capello corto oppure capelloni fino al culo, donne giovani tatuate con gonne larghe spalle e schiena scoperte. La temperatura all’aperto è ancora sopra i 30° e Nneka bardata a quel modo la patisce, detergendosi la fronte con gesto plateale del dorso della mano da cui, in controluce, si vedono cadere gocce di sudore come lacrime di gigante. Tutti grondiamo all’unisono, una magica grande onda caliente.
«My love, my love , my love, my love, my love, your love, your love, your love, your love, your love» cantiamo tutti in coro, azzeccando la giusta dose di amore solo dopo la spiegazione delle 5 ripetizione di my e le successive 5 di your.
«Questo pezzo lo dedico ai rifugiati politici, a coloro che affogano nell’oceano solo perché ricercano una vita migliore». Solidarietà massima, applausi fragorosi, lei profetizza e noi diventiamo tutti suoi discepoli per una notte.
Ora il ritornello spinge sui bassi, il tamburo rulla e batto i piedi a ritmo sulla pedana di legno e con me anche gli altri intorno sprizzano gioia: la coppia alla mia destra danza la sua quadriglia amorosa, lei sguardo fiero da spagnola, braccia lunghe allargate a cerchio in un flamenco spiritoso, lui – alto bermuda largamente stempiato – la fissa negli occhi copiandone ogni movimento, alzando i gomiti come se imbracciasse la muleta rossa per fare impazzire il toro in questa personale corrida musicale.
Alla mia sinistra due bambini sotto i dieci anni, rimasti seduti fino a adesso su sedie di plastica da soli al lato del palco, finalmente scuotono i bacini vicino ai loro designati genitori – un uomo pressoché calvo non ancora quarantenne con maglietta nera stampata raffigurante probabilmente il gruppo rock amato nell’adolescenza, lei in mini jeans e infradito, capelli indomiti al vento – reduci forse da una giornata di mare a Capocotta. Nell’aria un’aroma di verdeggiante lussuria che è bello anche solo respirare. Nel covo dei fricchettoni le mie Birkenstok si mimetizzano, non mi fanno sentire cretinamente tedesca come al solito.
Così mi concentro, senza smettere di ballare, su questa doppia coppia, una ancora da compiere, una già rodata, digerita, in piena fragranza di maturità. Evidentemente tendo ad invidiare i ventenni scevri da responsabilità familiari, vivi nel momento, pregni di desiderio di conoscersi, di nutrirsi, completarsi, godersi. E così sarà, la promessa verrà mantenuta, ma il gioco è in atto e loro assaporano ogni attimo che li porterà verso la prima notte, il primo letto, il primo dono reciproco. È questo il vissuto più desiderabile, questo essere presenti a se stessi nelle percezioni, nell’istante, nel viaggio. Grazie Nneka, torno a casa amata e completa grazie a te e a tutti i complici di questo speciale spettacolo di musica e altro.
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