Politica

La premier stempera, Salvini alza i toni: nel governo braccio di ferro sull’Europa

Matteo Salvini e Giorgia Meloni foto LaPresseMatteo Salvini e Giorgia Meloni – foto LaPresse

Governo La leader di Fdi punta ad accreditare i suoi conservatori come forza responsabile. Il leghista sugli sbarchi: «Qualcosa di organizzato, ci sta già lavorando l’intelligence» 

Pubblicato circa un anno faEdizione del 14 settembre 2023

Ci sono state tante «serate Mentana», perché non dovrebbe esserci una «serata Meloni». Doppiamente ospite di Bruno Vespa, prima con l’antipasto di Cinque minuti, per i frettolosi, poi col piatto forte di Porta a Porta, la premier occupa il teleschermo a distesa e per prima cosa replica alle misure drastiche di Germania e Francia sulle ricollocazioni dei migranti. Che la mossa sia ostile è palese, che il clima europeo nei confronti del governo italiano sia drasticamente cambiato è evidente. Ma la leader della destra è una politica troppo navigata e abile per cadere nella trappola accettando la provocazione. I ruggiti li lascia al Salvini che tuona per «l’Italia lasciata sola» e non esclude «nessuna modalità di intervento perché di fronte alle porte sbattute in faccia da Francia e Germania ci si deve organizzare da soli». Lo stesso che, non pago, alza ulteriormente il tiro: «C’è qualcosa di organizzato per mettere in difficoltà un governo scomodo. Ci sta già lavorando l’intelligence». Comunque «quello che accade a Lampedusa è la morte dell’Europa».

La premier invece stempera e anzi tenta di volgere lo schiaffone tedesco a proprio vantaggio: «Mi aspettavo una mossa simile. I ricollocamenti sono come la coperta di Linus. L’unica strada è fermare gli irregolari prima che vengano in Italia». Anche il coinvolgimento di Draghi da parte della presidente von der Leyen, peraltro in funzione vistosamente elettorale, le permette di lanciare l’ennesima frecciata contro il commissario all’Economia: «Ottima notizia. Draghi è uno degli italiani più autorevoli e spero che possa avere un occhio di riguardo». L’allusione a Gentiloni è chiara ma, casomai qualcuno non la avesse colta, una volta trasferitasi sulla poltrona di Porta a Porta la premier passa dall’allusione all’affondo: «Ha fatto molte interviste per redarguire il governo. A volte ha un approccio più critico che collaborativo, ma non vuol dire che voglia litigare con Gentiloni». Macché.

Sia chiaro, Meloni è soprattutto in campagna elettorale e se questo è il clima a 9 mesi dal voto ci si possono figurare i mortaretti quando le urne saranno davvero a un passo. Il Superbonus? «Ci è costato 140 miliardi, come 5 o 6 finanziarie. Tutti soldi sottratti alla sanità e alle persone più in difficoltà». Il reddito di cittadinanza? «Non vorrei che a gestire quei soldi fosse la Camorra. Bisogna andare a fondo». L’opposizione? «Non si va fuori a lavorare contro l’Italia e a parlare male dell’Italia. Io non lo farei mai». È propaganda anche il rinnovato impegno sul premierato, «la riforma costituzionale è pronta», come anche l’assicurazione in stile Osho che il ponte sullo stretto «lo famo».

Ma quando parla dell’Europa, strali contro Gentiloni a parte, la premier cambia registro, dismette i toni da comizio, diventa cauta. «Un accordo con i socialisti è molto difficile ma il dibattito sulle alleanze è prematuro», afferma prudente. Su Ita si aspetta che la Ue «non perda tempo» ed è una richiesta legittima. Persino sullo sgambetto della Bce contro la tassa extraprofitti evita il corpo a corpo: «Si possono valutare correttivi ma no alla marcia indietro». A parte il fatto che quasi sempre le retromarce, in politica, si travestono da «correttivi».

Lo scarto tra la premier e il suo vice leghista non potrebbe essere più clamoroso. Salvini ha tutto l’interesse nello spingere il governo verso lo scontro con la Ue, Meloni non ne ha alcuno. Ha impostato tutta la sua strategia politica, nell’ultimo anno, proprio basandola sull’imprevisto e imprevedibile accordo con l’Europa. Ha accettato per intero il catechismo rigorista pur di accreditare i suoi Conservatori come forza responsabile e a modo proprio persino europeista. Ora vede franare tutto e non ha alcuna intenzione di collaborare a un esito per lei disastroso. Ma tra i suoi molti problemi c’è il fatto che Salvini non è uno qualsiasi né un leader minore. La sceneggiata vista ieri si ripeterà nei prossimi mesi, con una parte dell’establishment europeo e la parte più aggressiva della destra, incarnata in Italia dal leghista, decise a forzare per arrivare a un confronto senza mediazioni e Giorgia Meloni in mezzo.

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