La pratica sociale della scrittura celata in un diario intimo
Carole P. Kunstadt, «Sacred Poem XI», 2015
Cultura

La pratica sociale della scrittura celata in un diario intimo

Percorsi In libreria per l’editore Kurumuny «Il pane sotto la neve», poesie e prose sperimentali scritte tra il 1977 e il 1982. Torna l’opera dell’autore salentino Antonio Verri, scomparso a 44 anni nel 1993

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 5 aprile 2022

Figura sui generis nel panorama letterario meridionale del secondo Novecento, lo scrittore salentino Antonio Verri, morto a soli 44 anni a causa di un incidente stradale nel maggio del 1993, è oggetto di nuova attenzione editoriale e critica. Verri, originario di Caprarica di Lecce, tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’90 è stato un infaticabile operatore culturale, direttore di riviste, curatore di collane, punto di riferimento per chiunque si accingesse a voler fare scrittura in quella «periferia infinita», così come definita dal poeta e ispanista leccese Vittorio Bodini.

MEMORABILE, agli inizi degli anni ’90, un suo ardito progetto, quello di aver diffuso per dodici giorni consecutivi il Quotidiano dei poeti, un quotidiano fatto di sola poesia, stampato a Maglie, paese noto per aver dato i natali ad Aldo Moro, in una piccola tipografia, e distribuito in giornata, attraverso una rete di amici e militanti, a Bari, Napoli, Roma, Matera, Perugia, Milano, Trento e Belluno. Alla curatela di queste numerose attività editoriali, ha sempre affiancato il lavoro di scrittore. Poeta e narratore, è stato autore di sei libri, pubblicati in poco più di due lustri da editori locali, in tirature che non hanno mai superato le mille copie.

Oggetto, post mortem, di numerosi studi presso l’Università del Salento, autore di culto per una ristretta cerchia di lettori e punto di riferimento per più di una generazione di scrittori e artisti del territorio, la diffusione della sua opera però non ha mai varcato le soglie della sua regione, non raggiungendo quindi un pubblico più vasto, a causa della scarsa reperibilità dei suoi lavori.

In quest’ottica va dato merito all’opera di ripubblicazione di tutti i suoi libri, iniziata da qualche mese dall’editore Kurumuny, attraverso l’ideazione di una collana chiamata «Declaro», interamente dedicata all’opera di Verri, e curata da Simone Giorgino, docente di Letteratura Italiana presso l’ateneo salentino.

IL «DECLARO», nell’idea dello stesso Verri, doveva essere un suo libro di prose in grado di contenere tutte le parole esistenti. Il termine deriva da un libro, Declarus, realizzato da un frate benedettino catanese, Angelo Senisio, giunto fino a noi attraverso un manoscritto del XV secolo conservato nella Biblioteca Nazionale di Palermo, che Verri ha avuto modo di leggere durante i suoi anni universitari. Questo testo altro non è che un dizionario di etimologie. Verri era sempre stato un amante dei dizionari, era affascinato dal senso nascosto di una parola, dalla ricerca di significati. Il suo Declaro doveva essere un libro infinito, per sua definizione irrealizzabile, ma proprio per questo seducente. La morte dell’autore non ha consentito di sapere in che modo si sarebbe evoluto questo suo progetto di scrittura. Ne abbiamo alcune testimonianze che non rendono definito il quadro complessivo.

PERÒ, PER CHI DESIDERA avvicinarsi alla scrittura di Verri, è da poche settimane nuovamente disponibile in libreria la sua opera d’esordio Il pane sotto la neve (Kurumuny, pp. 124, euro 13), pubblicato una prima volta nell’ottobre del 1983. Raccoglie poesie e prose sperimentali dell’autore, scritte dal 1977 al 1982, dalle quali emergono alcune costanti presenti anche nelle sue opere successive.

Come il legame profondo con il mondo contadino, con le tradizioni popolari e con la figura materna, sintesi emotiva dell’inscindibile cordone ombelicale con le origini; la letteratura che esiste solo nella relazione con l’altro, nello studio e nella lettura di diversi scrittori (molti sono i riferimenti letterari più o meno espliciti con autori della contemporaneità, tra cui Kerouac, Steinbeck, Dos Passos, Gadda, D’Arrigo e il suo profondamente amato Joyce); la scrittura come pratica sociale che anche in un’opera che può essere letta come diario intimo di uno scrittore inquieto, esonda in ogni suo verso.

Un orizzonte testimoniato dalla poesia più nota dell’autore di Caprarica, una sorta di manifesto che a quarant’anni dalla sua composizione continua ancora a significare: «Spedite fogli di poesia, poeti / dateli in cambio di poche lire / insultate damerino / l’accademico borioso / la distinzione delle sue idee / la sua lunga morte (…) / Ecco. Fate solo quel che v’incanta! / Fate fogli di poesia, poeti / vendeteli e poi ricominciate».

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