La povertà non dà tregua, la precarietà persiste anche se i redditi aumentano dopo il Covid. Quasi un quarto della popolazione – il 24,4%, pari a 14,3 milioni di persone – nel 2022 era a rischio povertà o esclusione sociale. Secondo l’Istat, che ieri ha pubblicato un nuovo rapporto, sarebbero 11,8 milioni le persone a rischio povertà (il 20,1%), 2,6 milioni gli individui in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (il 4,5%), cui si aggiunge il 9,8% di persone che, nel 2021, era precario, cioè vive in famiglie “a bassa intensità di lavoro”. Se non ci fosse stato il «reddito di cittadinanza», e misure eccezionali come il «reddito di emergenza» o gli altri bonus «600/1.000/2.400 euro», nei due anni della pandemia la povertà sarebbe cresciuta di più: il 6,4%, invece del 5,6%, nel rapporto fra il reddito equivalente netto totale ricevuto dal 20% della popolazione con il più alto reddito e quello ricevuto dal 20% della popolazione con il più basso reddito. Nell’Unione Europea ci sono oltre 95 milioni di persone a rischio povertà ed esclusione, ha sostenuto sempre ieri l’Eurostat. Di queste, 14 milioni sono nel nostro paese che si mantiene al di sopra della media europea, poco sotto Grecia e Spagna (26%) anche se è ancora lontana da Romania (34%) e Bulgaria (32%).

All’interno del paese la situazione è diseguale. Lo confermano i dati della Campania, Calabria e Sicilia dove si registrano valori superiori al 40%, mentre Emilia-Romagna e Valle d’Aosta sono sotto il 10%. Sembra invece diminuire chi versa in una condizione di grave deprivazione sociale e materiale a causa della ripresa dell’economia dopo la crisi pandemica e l’incremento dell’occupazione e dei redditi familiari. La povertà si sarebbe ridotta per chi vive in famiglie con cinque o più componenti (31,2% rispetto al 40,7% del 2021) e in quelle con tre o più figli (32,7% rispetto al 42,4% del 2021). Resta da capire quali saranno gli effetti del record dell’inflazione causato prima all’arresto delle catene del valore globale a causa del Covid, poi con la guerra russo-ucraina dalla speculazione sulle materie prime energetiche e alimentari, dall’aumento dei tassi di interesse decisi dalla Bce per diminuire l’inflazione. E resta anche da capire come questa situazione influirà sulle diseguaglianze. Il contesto non sembra essere univoco, almeno per quanto riguarda i dati sulla deprivazione data in diminuzione, ma conferma la persistenza della precarietà dei lavoratori poveri.

Sindacati e opposizioni hanno criticato il governo Meloni che, con il «decreto lavoro rinominerà il «reddito di cittadinanza» in «assegno di inclusione» e vincolerà gli «occupabili» a condizioni tali da perdere il sussidio «per la formazione e il lavoro». Norme che peggioreranno la loro condizione e non influiranno su quella dei lavoratori poveri che già non ricevevano il «reddito di cittadinanza». «Sono numeri che richiedono un’azione straordinaria e integrata – sostiene Daniela Barbaresi (Cgil) – senza operare scelte arbitrarie e categoriali o introducendo versioni moderne delle tessere “annonarie” come la “Carta per la spesa alimentare” che esclude proprio i più poveri». «Serve una misura universale e strutturale contro la povertà, forte attenzione all’inclusione sociale e politiche dedicate al Mezzogiorno» sostiene Domenico Proietti (Uil). A inizio luglio è prevista la conversione in legge del «Decreto lavoro» che liberalizza i contratti a termine. «Sarebbe più corretto chiamarlo decreto precariato – sostiene Francesco Silvestri (M5S, sarà in piazza a Roma il 17) – Il governo sta creando le condizioni per favorire lo sfruttamento di chi ha già stipendi da fame». Per Maria Cecilia Guerra (Pd) «il contrasto alle diseguaglianze non è nelle corde di questa maggioranza».