Visioni

La potenza guaritrice delle immagini

La potenza guaritrice delle immagini

Festival A FidMarseille «Visión Nocturna» di Carolina Moscoso rielabora la violenza attraverso il cinema. Il paesaggio dell’ Iraq è il protagonista di «Sandlines, the story of History» di Francis Alÿs

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 25 luglio 2020

Ed ecco che ci si ritrova in sala dopo i mesi di lockdown e del distanziamento immersi nella realtà sognante del cinema fuori formato, che ci accompagna finalmente oltre le distanze fisiche. FidMarseille si presenta come un festival aperto che tiene insieme in concorso internazionale lungometraggi e film medi, di esordienti, registi ed artiste navigate, video essay e piccoli film regionali commissionati da enti pubblici. Il brulicare etnico della città si riflette nelle scelte del suo festival. La nuova sindaca green appena eletta riceve grandi applausi al suo primo incontro pubblico la sera dell’inaugurazione e dichiara senza esitazione un particolare sostegno alla cultura.

SONO TRE le luci che formano il film Visión Nocturna della cineasta cilena esordiente Carolina Moscoso che riesce magistralmente nell’impossibile, raccontare una violenza assoluta con poesia. Il film, girato in video in modalità notturna, in bianco accecante che «invade il fotogramma quando ci si scorda di togliere la notturna il giorno dopo», e in modalità giorno regolare, segue le giornate della regista e dei suoi amici. Dalle riflessioni sul mezzo video usato che accompagnano pigri momenti casalinghi alla voice over su schermo nero che ricorda cosa accadde in campagna una notte di una decina d’anni prima. La studentessa di cinema viene stuprata da un coetaneo suo conoscente. Quando il padre la va a prendere vicino all’autostrada dove è riuscita ad arrivare, le dice che una sua amica di quando era piccola veniva stuprata dal padre quindi non è poi così grave. Ridono insieme.

La narrazione si alterna tra i documenti del referto ospedaliero, in cui manca un ultimo esame fondamentale che la ragazza non fa perché vuole andare via prima, dopo aver discusso con l’infermiera obiettrice di coscienza che non vuole darle la pillola del giorno dopo, e le indagini che proseguono ma che lei, impegnata con gli studi, all’ultimo non si sente in grado di affrontare. Manca l’appuntamento organizzato per raccogliere la sua ultima testimonianza, dopo aver dichiarato che è sicura al 70% di riconoscere il colpevole. L’indagine viene chiusa. Lei va avanti con la sua vita, va a trovare una curandera ma non le dice esattamente perché è li, va in viaggio con gli amici cari per tuffarsi nudi in mare, anche noi nuotiamo con loro sott’acqua e in una magica sequenza giochiamo con un leone marino che morde la videocamera. Poi di notte a cantare suonando la chitarra e a ballare in casa per aiutare un’amica incinta a partorire.

IMPROVVISAMENTE assistiamo, in modalità notturna, alla nascita del neonato/a di una giovane coppia di amici aiutati da una levatrice. Un’emozione surreale mentre guardiamo esterrefatti in sala con la mascherina. A nove anni dal feroce accaduto Carolina vuole riaprire il caso, adesso si sente pronta per poter testimoniare in toto ed essere presente quando è necessario, il suo avvocato Silvio di cui sentiamo le telefonate mentre vediamo la vita della cineasta proseguire, promette di aiutarla. Ma dopo aver fatto il punto della situazione con la procuratrice le dice che il limite massimo per riaprire i casi di violenza sessuale quando il colpevole è un minore sono 5 anni. Ormai non c’è nulla che possa fare e le augura di «trovare un canale di guarigione fuori dalla legge». Ed è esattamente quello che Carolina fa, non essendo riuscita più volte a raccontare in parole quello che le è accaduto, da cineasta filma la sua storia senza rinunciare alla gioia e alla poesia del suo sguardo, di giovane studentessa di cinema sopravvissuta ad una violenza sessuale. La potenza guaritrice delle immagini in movimento qui si dispiega senza esitazione.

Sandlines, the story of History di Francis Alÿs in collaborazione con Julien Devaux, racconta dell’accordo Sykes-Picot ad inizio 1900 che trasformò per sempre i paesaggi del medio oriente, in particolare dell’Iraq e delle colline di Mosul dove il film è girato. Protagonisti bambini pecore capre e cani che giocando e transumando mettono in scena la loro storia, dalla divisione del paese ad opera degli invasori europei che si accordano con un re locale per assicurarsi l’esclusiva sul petrolio, al califfato, a Saddam Hussein alla guerra degli statunitensi.

L’ESPLORAZIONE narrativa gioiosa e riflessiva tipica del lavoro del grande artista belga e messicano per scelta, ci trasporta nella zona tra il paesaggio rurale iracheno e l’immaginazione storiografica dove i bambini imparano la provenienza del loro paese giocando alla sua Storia. Un film post coloniale di una fantastica e scrupolosa leggerezza.

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