Visioni

La potenza dell’infinitamente piccolo

La potenza dell’infinitamente piccolo

Habemus Corpus Proprio da ciò che non è visibile può arrivare uno stravolgimento totale e imprevedibile che ribalta strutture e certezze

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 28 gennaio 2020

Ed eccola lì, la seconda potenza del mondo, l’economia più performante degli ultimi anni, la Cina, costretta a mettersi in quarantena per un virus, ovvero una particella così minuscola che gli scienziati riuscirono a vederne il primo esemplare nel 1940 con un microscopio elettronico, perché quello ottico era troppo poco potente. Mai sottovalutare l’infinitamente piccolo, perché proprio da ciò che non è visibile può arrivare uno stravolgimento totale e imprevedibile che ribalta strutture e certezze. Dentro di noi avvengono eventi di straordinaria sofisticatezza, battaglie, elaborazioni, trasformazioni, scontri, evoluzioni che però non vediamo. Siamo proprietari e portatori spesso inconsapevoli di ciò che ci manda avanti, ci cambia o ci distrugge.

Prendiamo i virus, appunto, termine latino che significa veleno o tossina. La loro scoperta è recente. Il primo virus animale, quello dell’afta epizootica, viene isolato nel 1898, quello umano della febbre gialla nel 1901, quello della poliomielite nel 1908, ed è nel 1933 che si scopre che l’influenza è una malattia virale e non batterica, mentre bisogna aspettare il 1938 per avere il primo vaccino contro la febbre gialla. I virus possono avere forme lineari, circolari, segmentate, a catena singola o doppia e sono molto più piccoli dei batteri e delle cellule. Insensibili agli antibiotici, non possono essere definiti particelle viventi, ma entità biologiche che, finché non infettano una cellula, sono virioni, ovvero molecole di Dna o Rna avvolte in rivestimenti protettivi e quindi portatori di geni.

Poiché non respirano, non si muovono e non si riproducono autonomamente, hanno bisogno di un movimento passivo per arrivare a una cellula e infettarla. Una volta entrati, ne assumono il controllo e, sfruttando la capacità replicativa della cellula, si moltiplicano. Per dirla prosaicamente, i virus si comportano come dei parassiti che per esistere devono trovare un ospite ed essere trasmessi a un altro ospite attraverso vie esterne come colpi di tosse, starnuti, contatti sessuali, prodotti di scarto. Una volta arrivati a destinazione, per replicarsi devono trovare le cellule giuste e in gran quantità, come quelle dei polmoni per esempio, la cui estensione è maggiore di quella di un campo da tennis. Questo spiega perché in Cina hanno dovuto isolare intere città e milioni di abitanti chiudendo aeroporti, stazioni, negozi e luoghi pubblici, il virus polmonare coronavirus avrebbe trovato una quantità esorbitante di ospiti ospitali provocando una pandemia.

Al di là di questa emergenza, va detto che i virus non sono solo cattivi. Potendo modificare il corredo genetico di una cellula sono infatti usati nella manipolazione genetica, e nell’Est Europa da decenni si usano i virus batteriofagi nella cura delle infezioni perché attaccano i batteri e li fanno esplodere. I primi esperimenti in proposito furono fatti nel 1917 dallo scienziato franco-canadese Felix d’Herelle che nel 1930 fondò a Tbilisi, in Georgia, con il fisico George Eliava un centro di ricerca sulla terapia fagica. Purtroppo Eliava fu fatto giustiziare da Stalin nel 1937 e d’Herelle dovette abbandonare la Georgia e il suo sogno. Pochi anni dopo, l’avvento degli antibiotici fece sparire dall’Occidente gli studi sui fagi, ma l’Eliava Institue ha continuato la ricerca e ricca è la casistica dei suoi successi nella cura di malattie infettive intestinali, polmonari, dell’apparato urinario e da ustioni anche resistenti agli antibiotici. Se guardassimo di più dentro la complessità che ci compone, faremmo meno i cretini di fuori.

mariangela.mianiti@gmail.com

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