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La posa spericolata

La posa spericolata

Giochi di posizione Quei giovani che a fine giornata si spostavano all’interno dei bar incollandosi alle manopole del flipper o brandendo le stecche del biliardo.

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 15 marzo 2014

centri storici delle città, in cui si concentravano le molteplici attività del terziario, erano affollati e assediati dalle macchine. Andava in voga una categoria di persone, quella dei temporeggiatori, che stazionava lungo il corso e sulla piazza principali. Giovani di vent’anni dediti alla pratica della posa si allineavano sul marciapiedi davanti alle vetrine dei bar e, braccia incrociate o mani in tasca, aspettavano. Per ore, consumando il pacchetto rigido di sigarette da dieci che spuntava dai blue jeans e con esso le mattinate-pomeriggi-sere.

A fine giornata si spostavano all’interno dei bar incollandosi alle manopole del flipper o brandendo le stecche del biliardo. La posa (si restava fermi, posati appunto) non era soltanto un’attesa per l’arrivo di qualcuno, magari l’amico che si aggiungeva al gruppo, ma un modo del guardare e dell’essere guardati. Dal punto di osservazione prescelto fluiva imbellettata la gente da passeggio e scorrevano petulanti le auto. Un comandamento: farsi trovare in posa al cospetto di quella parata che la città riproponeva ogni giorno. E ogni giorno al centro, non solo la domenica, spirava una godibile aria di festa.

Guai, fra i posatori, a saltare una messa in scena dell’evento. Sfumava un’occasione. Cosa fruttava quell’occasione, oltre alla visibilità? Era questa, la visibilità, che soprattutto si cercava di coltivare. Una e più occasioni, invece, si cominciavano a perdere restando tutto il giorno in posa, bruciando pacchetti da dieci di Muratti e tormentando i flipper che andavano in tilt. Si era consapevoli, già al momento, del tempo sprecato, ma essendone succubi risultava difficile invertire la piega. È uno sport, rispondevano i posatori a coloro che domandavano il fine di quell’atteggiamento passivo. E lo sport della posa faceva proseliti, che rimpiazzavano chi mollava la postazione per raggiunti limiti di sopportazione. Poi il terziario (negozi, uffici, cinema) ha fatto fagotto, insediandosi nelle periferie che sono divenute posticci centri moderni senza i segni (vantaggi?) della modernità, portandosi dietro folla e traffico. I centri storici svuotati di funzioni e chiusi alle macchine, novelli musei all’aperto, rivivono di notte, dopo essere passati dai bagliori al neon dei bar ai led soffusi dei pub. Succedutesi le generazioni, e dilatatasi l’età giovanile, i ventenni della posa hanno lasciato la piazza ai trentenni-quarantenni della movida. Ma forse è ancora lo stesso sport.

 

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