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La Polonia dei neon tornerà a brillare

La Polonia dei neon tornerà a brillareBreslavia

Restauri Si riaccendono le luci dell'epoca Gomulka e diventano nuovamente arma di dissenso

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 29 maggio 2021

Niente luci rosse o lampeggianti: il neon, dal greco «neos», che significa «nuovo gas», esordisce in modo piuttosto discreto, quasi pudico, in Polonia sul finire degli anni Venti. Sono queste le direttive del consiglio municipale di Varsavia che si preoccupa di fare in modo che le insegne non influiscano negativamente sul decoro cittadino. Nella capitale polacca se ne conteranno una settantina nel periodo tra le due guerre. Di Varsavia non resta quasi nulla dopo la resa della Germania nazista. I tubi luminosi finiscono frantumati sotto un cumulo di macerie. L’inizio del processo di neonizacja del paese coincide con quello della destalinizzazione. Il segretario generale del Partito comunista polacco Wladyslaw Gomulka crede nel fascino delle luci sulla città per dare ai suoi cittadini una parvenza di quel benessere che si intravedeva nei paesi del blocco occidentale. A partire dalla fine degli anni Cinquanta architetti e designer dell’epoca partecipano con entusiasmo alla «neonizzazione» dei paesaggi urbani.

Difficile fare dei nomi in particolare: «A quanto pare tra le decine di progettisti che erano impiegati presso la società statale Reklama nessuno sembrava in cerca di gloria personale. Erano tutti al servizio della collettività», racconta Paulina Olowska, impegnata tra le varie nel restauro di alcune insegne dell’epoca nella capitale polacca come la celebre «pallavolista» in Piazza della Costituzione (Plac Konstytucji) disegnata da Jan Mucharski e rimessa in sesto da Olowska nel 2006 anche grazie al sostegno della Foksal Gallery Foundation. «Allora ho ottenuto l’accesso ad oltre tremila progetti per le insegne al neon ideate da Reklama. Le tavole erano conservate in un garage nella parte vecchia del quartiere Praga a Varsavia. Con il tempo molti disegni sono stati danneggiati da funghi e umidità o sono diventati troppo fragili per essere consultati». La documentazione ritrovata è stata poi affidata al museo di arte moderna cittadino che ne sta completando la catalogazione. È paradossale che i tubi al neon si siano diffusi nel contesto di un’economia fortemente centralizzata in cui la pubblicità non aveva ragione di esistere. Da un certo punto di vista, il neon artistico, con le sue scritte uniche spesso progettate a penna in un solo lungo tratto e senza pause, è una forma di idioletto. Tra la fase di disegno e quella dell’illuminazione dei tubi, piegati con precisione in fabbrica dalle operaie di Reklama, potevano trascorrere a volte persino tre anni.

«Erano i consiglieri comunali che spingevano i rappresentanti delle varie aziende di stato a commissionare progetti», almeno secondo la testimonianza chiave dell’ex numero uno di Reklama, Jacek Wyczólkowski, intervistato in Neon (2014), un documentario del canadese Eric Bednarski sul fenomeno della neonizacja. Negli anni di massima fioritura del fenomeno, ogni notte a Varsavia una squadra di tecnici in bus scrutava in lungo e in largo via Marszalkowska e aleje Jerozolimskie per riparare ogni minimo guasto alle insegne. Nello stesso periodo, invece, dall’altro lato della cortina, personalità come l’italiano Mario Merz e lo statunitense Dan Flavin cominciavano a fare un uso sistematico del neon come medium artistico. Ma nella seconda metà degli anni Settanta le spese di manutenzione dei tubi luminosi erano diventate un lusso che la Polonia del nuovo segretario Edward Gierek, sempre più indebitata con l’estero, non poteva più permettersi. Lo spegnimento di un’insegna per qualche settimana di troppo comportava spesso dei danni irreparabili al contatore elettrico. In pochissimo tempo molte installazioni erano diventate ormai troppo difficili da recuperare. Da un certo punto di vista, il buio nel quale sarebbe sprofondata la Polonia nel 1981 con la proclamazione della legge marziale era stato anticipato di qualche anno dal progressivo oscuramento delle insegne luminose nei grandi centri del paese. Tra i restauri condotti da Olowska a Varsavia, anche quello della celebre mucca della tavola calda «Bambino» in via Krucza. Un’insegna-icona della capitale polacca, celebrata anche nella poesia di Wanda Chotomska «Neonowa krowa», messa in musica dalla band pop-rock Lombard. L’omonimo videoclip di Maciej Cwiek del 1987 è un tributo nostalgico e colorato alla Polonia «neonizzata» dei tempi andati. Intanto è da almeno una decina di anni che i tubi luminosi stanno vivendo un revival nel paese. E sempre nel quartiere Praga che dal 2012 funziona un museo del neon al chiuso che è riuscito a mettere in salvo almeno un centinaio di insegne. A Breslavia, invece, la fondazione Neon Side espone all’aperto nel cortile di un palazzo di via Ruska una sessantina di neon recuperati nella regione dell’Alta Slesia. «Le luci che adesso vanno di moda e ritornano nelle strade sono l’espressione di una nostalgia verso il modernismo e quella grafica pubblicitaria di qualità che di solito caratterizza le insegne al neon», spiega la gallerista cracoviana Malgorzata Golebiewska, titolare dello spazio Art Agenda Nova. Ma le difficoltà per mantenere in vita la tradizione dei neon non mancano: «Difficile al giorno d’oggi trovare sul mercato maestranze specializzate nella lavorazione dei tubi», confessa Maciej Mokros, ideatore di una bottega del neon artistico a Gdynia, città sulla costa baltica. A ottobre scorso, Olowska ha deciso di aggiungere un fulmine, simbolo delle proteste contro la messa al bando dell’aborto terapeutico, alla sagoma illuminata della pallavolista: «ll condominio del palazzo, composto a maggioranze da donne di vedute liberali, si è mostrato entusiasta all’idea. Il fulmine è rimasto lì per diversi mesi. Qualche tempo fa l’ufficio per la conservazione dei monumenti ci ha chiesto di rimuoverlo. E assurdo che le autorità abbiano cominciato a interessarsi all’insegna soltanto adesso. Finora a nessuno era mai importato niente se uno dei tubi che compongono una gamba o una palla nell’installazione non si accendevano». L’artista polacca ha deciso di spegnere la silhouette intera dopo l’intervento delle autorità in segno di dissenso per l’ingiunzione. Ma è soltanto una questione di tempo: prima o poi le proteste da parte della società civile polacca e la pallavolista con il fulmine torneranno a riaccendersi ancora e ancora una volta.

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