La polizia occupa i ponti di Baghdad e punta a Tahrir
Iraq Altri otto morti ieri tra Bassora e la capitale, mentre le forze di sicurezza distruggevano le barricate sul Tigri e si avvicinavano al quartier generale della rivoluzione. Poi il premier sventola la carota: riforme tra pochi giorni. Ma non dice quali
Iraq Altri otto morti ieri tra Bassora e la capitale, mentre le forze di sicurezza distruggevano le barricate sul Tigri e si avvicinavano al quartier generale della rivoluzione. Poi il premier sventola la carota: riforme tra pochi giorni. Ma non dice quali
Il bastone e la carota: è la strategia della classe dirigente irachena di fronte alla mobilitazione di massa in corso dal primo ottobre nel paese. Ovvero repressione e promesse di riforme. I manifestanti credono alla prima, perché la vedono, ma per nulla alle seconde.
Di nuovo ieri le forze di sicurezza irachene, spalleggiate da uomini armati a volto coperto (identificati dai manifestanti come miliziani filo-iraniani), hanno aperto il fuoco a Bassora, uccidendo tre persone. A Baghdad ne morivano cinque, mentre a suon di lacrimogeni e proiettili la polizia riassumeva il controllo, distruggendo le barricate, di tre ponti sul Tigri, al-Sinek (che conduce all’ambasciata iraniana), al-Ahrar e al-Shuhada (diretti verso l’ufficio del primo ministro).
Dopo la ritirata, i manifestanti – riporta l’Afp – sono stati inseguiti sull’antica via al-Rasheed. Regge invece il ponte al-Jumhuriya, il più vicino a piazza Tahrir, quartier generale della rivoluzione. E il timore, raccontavano ieri i manifestanti, è che nelle prossime ore l’obiettivo sia proprio Tahrir.
E mentre sale il bilancio delle vittime – quasi 300 uccisi, oltre 12mila feriti e un numero indefinito di arresti e sparizioni forzate – parla il premier Adel Abdul-Mahdi, sordo alle richieste di dimissioni dei partiti politici che gli hanno dato la fiducia appena un anno fa. Con la polizia in piazza che sparava, il primo ministro ha pensato di ringraziare i manifestanti per «aver aiutato a fare pressione sui gruppi politici e il governo».
Ma, ha aggiunto, «si deve tornare alla vita normale, che condurrà all’ascolto delle legittime richieste». La vita normale per il 60% degli iracheni è campare con sei dollari al giorno, sognare un lavoro che non c’è e osservare da lontano la sparizione, dal decennio scorso, di 450 miliardi di dollari destinati alla ricostruzione post-invasione Usa.
Abdul-Mahdi promette riforme elettorali e costituzionali «nei prossimi giorni», ma non dà dettagli. Difficile che soddisfino il cuore della protesta: una rivoluzione dello Stato, da settario a laico, da burattino di Washington e Teheran a indipendente, da clientelare a equo.
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