La politica vince sul cabaret
Legge elettorale L’incontro Pd-M5S è positivo, anche se si può temere che sia fuori tempo massimo. Un confronto interessante, che ovviamente innervosisce Fi.
Legge elettorale L’incontro Pd-M5S è positivo, anche se si può temere che sia fuori tempo massimo. Un confronto interessante, che ovviamente innervosisce Fi.
Non è stato un cabaret, e si è discusso di politica. Che ci sia stato l’incontro Pd-M5S è positivo, anche se si può temere che sia fuori tempo massimo. Un confronto interessante, che ovviamente innervosisce Fi. Si vedrà nel prossimo round.
Della proposta di legge elettorale M5S è soprattutto apprezzabile la scelta del proporzionale. Qui è il punto di più radicale contrasto con il Pd. Lo mette in chiaro Renzi, quando afferma che la proposta Pd è il sistema dei sindaci, semplice, per cui chi vince vince, e chiede a M5S se è disposto ad accettare un correttivo che consenta a chi vince di governare.
Penso – da molti anni – che questo paese abbia bisogno di un bagno di proporzionale per riscoprire che politica e istituzioni devono essere nel loro complesso rappresentative di consensi reali. Smettiamola di celebrare maggioranze di seggi fantasma cementati da un premio, o vittorie epocali in ballottaggi dove vota meno della metà degli elettori. Alla fine, sommersi dalle chiacchiere, finiamo col dimenticare che se un elettore su quattro in carne e ossa sostiene un leader o un indirizzo di governo, tre elettori su quattro non lo sostengono, sono contrari, o non votano affatto. Col tempo, possiamo esser certi che gli equilibri reali si faranno sentire.
La rappresentatività delle istituzioni è la chiave per cogliere in modo continuo e ravvicinato i bisogni, e consolidare le fragilità del sistema politico. Far entrare nelle istituzioni le molteplici voci del paese e farle contare nella formulazione e attuazione dell’indirizzo politico è l’unica vera via per un governo forte.
Dovremmo abolire o ridurre al minimo soglie, sbarramenti, premi. La Merkel esce da una vittoria-non vittoria, ed è a capo di un governo di larghe intese frutto di una gestazione faticosissima. Non ha stravinto nemmeno nelle europee.
Eppure, tra lei e Renzi, Merkel è il possente centroattacco, e Renzi l’abatino. La ragione è nel fatto che il paese che la esprime è stabilissimo e solidissimo, con partiti e istituzioni forti e rappresentativi, senza artifici nei voti e nei seggi, con un sistema elettorale dall’esito proporzionale. In Francia e GB si discute ampiamente di correttivi in chiave proporzionale
Quest’ultimo paese, in specie, con la legislatura in corso esce per la prima volta in 70 anni dal single-party government dato da un sistema elettorale per cui – come vorrebbe Renzi – la sera del voto si sa chi vince. Eppure, nessuno grida alla calamità nazionale, e nella camera dei comuni siedono anche parlamentari eletti con poche migliaia di voti. Vogliamo imparare?
Meno bene M5S sulla preferenza negativa. M5S la definisce uno strumento per gli elettori di opporsi a candidature indigeribili. È giusto. Ma a quali costi e con quali pericoli? Renzi esprime dubbi, perché si corre il rischio di far controllare il voto in alcune zone del Paese. E c’è del vero. Ma il rischio maggiore è piuttosto che la preferenza negativa sia utilizzata dentro le forze politiche – in ogni territorio – per una competizione interna sregolata e senza limiti.
Già la costruzione dei pacchetti di consensi personali indispensabili nelle ordalie primariali e nelle competizioni elettorali a preferenza unica hanno fortemente contribuito al dissolvimento dei partiti come soggetti stabilmente organizzati. Aggiungere la preferenza negativa non potrebbe che peggiorare le cose. La ricostruzione di partiti che non siano liquidi, evanescenti, feudalizzati nella obbedienza a capi e capetti, è via necessaria per rinsaldare e ripulire la politica, le istituzioni, e tutto ciò che ne dipende. E dunque non si può essere favorevoli. Perché non pensare a un sistema fondato su collegi uninominali?
Infine, una parola sull’emendamento – richiamato da Renzi – che sottopone la legge elettorale a uno scrutinio preventivo da parte della Corte costituzionale. Proposta interessante. Ma perché a questo punto non adottarla per uno spettro più ampio di leggi su iniziativa di una quota di parlamentari sufficientemente alta da esprimere un ampio consenso nel paese? Ad esempio, per tutte le leggi che in qualsiasi modo tocchino diritti e libertà. Capiamo bene che i patiti della governabilità vedano come il diavolo l’acqua santa che un’opposizione parlamentare possa ricorrere alla Corte.
Ma è quanto accade in Francia senza alcun particolare sconquasso. Eppure, la tradizione politica e dottrinaria francese era stata per lungo tempo ostile al giudizio di costituzionalità sulle leggi come tale. Da noi, una simile innovazione potrebbe temperare in qualche misura l’evidente deficit di controllo democratico che viene dall’insieme delle riforme – elettorale e istituzionali – proposto dal governo.
Per innovare bisogna avere coraggio, senza improvvisare. Sapremo abbandonare i luoghi comuni e guardare più lontano, a partire dal totem della governabilità? I riformatori italiani che vanno per la maggiore assumono le parole d’ordine degli altri quando gli autori le hanno già superate. Forse, smettono troppo presto di studiare. Anche i cinesi copiano, e magari fanno cose bellissime, quasi uguali agli originali. Ma questo è il punto: quasi.
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