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La politica di Biden e il ruolo della sinistra

La politica di Biden e il ruolo della sinistraIl presidente Usa Biden – Ap

Usa Con la pandemia, la crisi ambientale e la disfatta afghana è cresciuta nel mondo la consapevolezza dell’insufficienza e della inadeguatezza delle ricette neoliberiste

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 12 ottobre 2021

Il virus, con la variante delta, e la relazione sempre più stretta tra cambiamenti climatici e salute individuale e collettiva, dominano la scena politica e sociale a livello internazionale. Il presidente americano ha deciso di aumentare la spesa pubblica per la sanità, i servizi, la riconversione energetica, le infrastrutture. I repubblicani hanno risposto con un duro ostruzionismo parlamentare per impedire l’approvazione dell’innalzamento del tetto del debito Usa, condizione necessaria per attivare il piano di investimenti. Joe Biden, che è arrivato a evocare il rischio default dello Stato federale, deve vedersela anche con l’ala moderata del suo partito, contraria all’aumento del debito pubblico. Da parte sua, Hillary Clinton in una recente intervista all’Atlantic lancia l’allarme sulla tenuta della democrazia americana e accusa il partito repubblicano di voler sovvertire le regole costituzionali. La posta in gioco è molto alta. Stanno emergendo divaricazioni profonde che chiamano in causa visioni differenti della società e del mondo.

BIDEN, CON UNA POLITICA che si ispira al «social liberalism», si contrappone al liberismo dominante. Lo dimostra il suo approccio a una serie di temi qualificanti. La svolta in materia di fiscalità, dopo decenni di flat tax per i ricchi – con provvedimenti per una maggiore progressività ed equità dentro gli Usa e la proposta della global minimum tax sulle multinazionali – non era affatto scontata. Come è molto importante, dopo gli anni del negazionismo trumpiano, l’impegno a recuperare il tempo perduto sulle politiche ambientali ed energetiche. Si comprende, in questa luce, il filibustering repubblicano e la crescente avversione del mondo industriale americano, che non vuole pagare i costi del cambiamento.

Le grandi lobby sono all’attacco. Big oil cerca di ritardare in tutti i modi la conversione energetica. Big pharma si rifiuta di abbassare i prezzi assurdi dei farmaci. Bigh tech cerca di evitare misure anti-trust e di regolamentazione. Tutte si oppongono all’aumento della tassazione, nonostante abbiano realizzato profitti stratosferici. In questo contesto, anche il ritiro dall’Afghanistan, andrebbe letto in una chiave di discontinuità politica.

NON È STATO UN ATTO avventato o poco meditato, come hanno scritto molti in modo prevenuto. Ci vedo piuttosto una presa di distanza da quei settori del complesso militare-industriale che, accampati nelle stanze del Pentagono, pretendono la continuità di una sorta «keynesismo militare». Il fallimento dell’operazione enduring freedom (libertà duratura), insomma, ha spinto Biden a sbarazzarsi dell’immagine dell’America come «gendarme del mondo» ovvero come il paese che ha la missione di «esportare» la democrazia.

NEGLI USA, DUNQUE, lo scontro tra i democratici e una destra sempre più reazionaria e sempre meno liberale è senza esclusione di colpi. Nasce qui il problema del ruolo della sinistra in un contesto politico in rapido mutamento. Per la prima volta, dopo quaranta anni, ai massimi livelli politici e istituzionali degli Stati uniti emerge una linea apertamente alternativa al pensiero liberista. È una cosa che non può non riflettersi sugli orientamenti politici dei partiti e dei governi europei. Il liberismo, anche nella variante sovranista e populista, mostra segni di difficoltà, ma non di cedimento.

Al campo delle forze ecologiste e di progresso, a questo punto, si aprono possibilità nuove, impensabili fino a poco tempo fa. Lo scontro tra liberaldemocratici e liberisti è senza esclusione di colpi, non solo negli Usa. In Europa infuria la battaglia tra i Tories. I socialisti vincono in Norvegia e l’Spd guida i giochi in Germania. In Francia e in Italia la sinistra è ancora alle prese con divisioni e difficoltà. In generale, però, si può affermare, che in Europa si è aperta una fase nuova. Rapporti di forza ed equilibri politici più avanzati sono possibili a livello politico e istituzionale.

CON LA PANDEMIA e con la crisi ambientale, è cresciuta nell’opinione pubblica la consapevolezza dell’insufficienza e della inadeguatezza delle ricette neoliberiste. I lavoratori, i giovani, le donne guardano con crescente preoccupazione al futuro. Chiedono sicurezza, efficienza dei servizi, sostenibilità, redistribuzione sociale. Sanno che solo lo Stato e una maggiore integrazione europea possono garantire tutto ciò. Il movimento dei Fridays for Future, ha compiuto a Milano un importante salto culturale e politico cogliendo lo stretto nesso tra questione ambientale e questione sociale.

Una sinistra che non voglia limitarsi ad un ruolo di complemento (o di coscienza critica) del pensiero liberale dovrebbe a questo punto essere in campo, unitariamente, e lanciare la sua sfida su obiettivi in grado di coniugare sviluppo sostenibile ed uguaglianza sociale. La prospettiva del socialismo è ancora lì, per chi voglia vederla. Senza fughe in avanti, si tratta di tenere i piedi per terra, dispiegare un’azione politica e di massa, lavorare sulle contraddizioni, guardare al mondo reale e non a un mondo immaginario.

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