La pittura di Jacob Vassover e la memoria della notte
MOSTRE Fino al 12 settembre a Trani
MOSTRE Fino al 12 settembre a Trani
Profondo rosso è il colore dell’orrore e dell’angoscia di Auschwitz nella testimonianza del pittore ebreo polacco Jacob Vassover sopravvissuto alla Shoah. «Ogni cosa va verso la fine – l’uomo, la storia, la letteratura, la religione, Dio. Non c’è più nulla. Eppure, noi ricominceremo con la notte», scrive lo scrittore ebreo rumeno Elie Wiesel, Nobel per la Pace nel 1986. Dal titolo del suo romanzo La notte e dai dipinti di Vassover deriva il titolo suggestivo della mostra di pittura yiddish presso l’ex Sinagoga Scola Grande–Museo di Storia Ebraica di Trani, La notte dipingevo quadri rossi (fino al 12 settembre).
L’esposizione è un’iniziativa della Fondazione S.E.C.A., del Museo della macchina per scrivere presso il Polo Museale di Trani, con il patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Attraverso la visione delle 23 opere di Jacob Vassover, Samuel «Shmuel» Shmutler e Simcha Nornberg si entra nel mondo ashkenazita degli ebrei dell’Europa orientale. Le feste, la preghiera e lo studio, la vita quotidiana nei villaggi shtetl, la fuga: una civiltà antica spazzata via dalla furia nazista e salvata grazie alla memoria.
SE QUESTE opere-testimonianza possono essere esposte è merito di un poeta milanese, Roberto Malini. Da anni si è impegnato nel recupero di opere d’arte della tradizione ebraica per sottrarle aD un destino di perdita e oblio. A partire dal 2000 questo monuments man dell’antisemitisimo ha raccolto centinaia di opere, tra dipinti, disegni e incisioni, girando per il mondo e sfruttando al meglio il web.
Un dipinto di David Weiss del 1939 raffigurante un rabbino, acquistato a Parigi è stato il suo primo salvataggio. Da allora la collezione è diventata un «luogo di comunità», uno spazio di crescita civile e culturale contro ogni discriminazione e violenza. Nel 2018 Malini donò al neonato Museo della Shoah 240 dipinti, così come i quadri esposti a Trani saranno acquisiti dall’Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria di Barletta fondato dal musicologo Francesco Lotoro, il quale, infatti, ha collaborato alla realizzazione dell’esposizione.
Malini è un poeta civile. Al centro dei suoi versi c’è il tema dell’emarginazione, quando non della sopraffazione delle minoranze, accanto e dopo la Shoah, le persecuzioni dei rom e dei sinti, fino alle tragedie contemporanee dei popoli migranti. Egli stesso di origine ebraica, un suo antenato si chiamava Segala, cognome diffuso nel ghetto di Venezia nel ‘400, in una sua raccolta ha così chiarito il suo principio di sovrapposizione: la memoria si muove per immagini e sentimenti che si sovrappongono; perde e ritrova il filo del discorso in modo incessante. Ecco, perché ogni tanto dobbiamo fermarci e chiamare a raccolta ciò che è rimasto vivo delle nostre esperienze umane.
VISITARE UNA MOSTRA in piena estate, fuori dalle ricorrenze che rischiano di non fare più la differenza, è davvero educativo. Si riscopre l’impronta dell’origine delle nostre idee e delle nostre battaglie, si riconosce la propria identità, oltre i sentimenti e le appartenenze laiche e religiose. Si ritrovano le radici del moderno, secondo l’insegnamento di Sergio Quinzio. Si mantiene la rotta che ci permette di giudicare storicamente il sionismo senza il timore di passare per antisemiti. Ci rammentiamo, senza riserve mentali, che rosso è anche il colore della bandiera con cui Auschwitz fu liberata.
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