La pestilenza raffigurata da Guido Reni
Divano Onirica è la scena tracciata e comunica un incubo muto
Divano Onirica è la scena tracciata e comunica un incubo muto
Conosco poche immagini della pestilenza altrettanto austere e terribili quanto quella della città di Bologna che Guido Reni raffigura ne La Madonna del Rosario con il Bambino ed i Santi protettori di Bologna.( olio su seta, cm 382×242, Bologna, Pinacoteca Nazionale), lo stendardo processionale commissionatogli nel 1630 dalle autorità cittadine quale ex voto, una volta calata l’epidemia che aveva ucciso quasi un terzo della popolazione. Una veduta di Bologna delineata dall’alto, a volo d’uccello, che mostra gli edifici della città, le fabbriche delle chiese maggiori con le cupole, e le torri. Scorgi inclinate la Garisenda e la torre degli Asinelli che svetta. Sulla città ristagna un velo di caligine plumbea e all’orizzonte, piatto e lontano, si stende una luce vitrea, il riverbero immobile di un lampo gelido che, da troppo tempo ormai, non accenna a spegnersi. Pare il riflesso della lama ghiaccia del contagio che è calata sulle case. Hai in vista Bologna e sei davanti alla cerchia delle sue mura, là dove al centro si apre una porta.
Oltre la porta si stende un terreno incolto, segnato da un incerto tratturo che corre parallelo alla muraglia. Poco fa dalla porta sono usciti un carro e dei barellieri. I barellieri sono quattro, hanno preso a destra e trasportano due bare. Hanno abiti bianchi, i volti coperti e procedono lenti. Il carro ha preso a sinistra. È tirato da due muli, ti pare, il secondo tra le stanghe è di pelo chiaro e tinto di vernice bianca è il capiente furgone funebre dalle alte ruote che trainano. Quattro monatti nerovestiti sono d’attorno. Due alla cavezza del primo mulo. Un terzo ha in mano una frusta e il quarto tiene dietro il furgone a chiudere il cupo equipaggio. Il loro procedere sul terreno scabro è seguito dagli sguardi di alcuni affacciati sul ciglio delle mura. Essi alzano le braccia al cielo nell’atto di implorare e levano alti lamenti. Lamenti che non odi, perché, ti dici, troppo lontani, ma che tuttavia vedi in immagine, così come accade certe volte in sogno.
Onirica è la scena tracciata da Guido e comunica un incubo muto. Diversamente dalla Bologna minutamente effigiata quindici anni prima, nel 1616, ne La Pietà dei Mendicanti, qui, quella figura, il gran pittore l’ha tirata via alla brava, con colpi di pennello sicuri, ma rapidi, come si addice al buttar giù un bozzetto o in un veloce appunto preparatorio d’un dipinto, che andrà poi eseguito con agio. La prima idea, ma compiuta. Sicché questo paesaggio urbano di pestilenza ti si è composto innanzi come affiora una sensazione restata al fondo dell’anima di chi quelle ore di morte ha vissuto quando, chiudendo gli occhi, per un attimo gli balzano di nuovo innanzi confuse, ma come una visione indelebile, senza rilievo di colori, dilavata anzi e intrisa dei grigi d’uno smorto crepuscolo. Una tale sensazione Guido concentra in una ridottissima e assai limitata porzione del grande dipinto de La Madonna del Rosario, lungo il margine inferiore, sul bordo. Ma è questo particolare, che ti appare ad arte quasi nascosto, che reca il suo significato alla smagliante figurazione in celeste e rosa della Vergine lassù in alto. In braccio il Bambino, è assisa su un arcobaleno tra le nuvole che vanno diradando, carezzate da una tepida luce dorata donde angioletti spargono serti di rose, portano corone di rosari e invitano alle preghiere di ringraziamento. E, più in basso, dal piancito di nubi grigie che lascia lo spiraglio entro il quale appare là sotto la città martoriata, i cinque protettori di Bologna volgono i loro sguardi alla Madonna: Petronio, Domenico, Francesco; Procolo e Floriano, nella mano la palma del martirio, con Ignazio e Francesco Saverio. Nella trasparenza di quei limpidi colori, nella loro purezza che vibra entro una nota argentina («tutte le forme sono immerse nella luce … ciò avviene attraverso la spezzatura dei colori in un grigio argenteo e trasparente», scriveva Otto Kurz) è la vivida certezza che la morte è vinta per sempre nella gloria dei cieli. Ti avvedi allora che questa è la visione di salvezza che si apre, sfolgorante a tutto cielo, a coloro che abbiam visto invocare, dagli spalti delle mura, una speranza di vita al di là dei giorni della peste.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento