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La perversione perfetta di un buco nero nazionale

La perversione perfetta di un buco nero nazionale

Bagnoli Il recupero del sito industriale è diventata una delle pagine più scandalose della storia politica e amministrativa di questo paese, intervallata da processi penali e indagini della Corte dei conti, che hanno messo a nudo l’incapacità gestionale della classe dirigente nazionale e locale

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 1 aprile 2021

La questione del recupero ambientale e urbanistico del sito industriale di Bagnoli, nato a inizi Novecento nell’omonimo quartiere della periferia ovest della città di Napoli, non ha avuto l’attenzione nazionale che meriterebbe.

Il recupero di Bagnoli è diventata una delle pagine più scandalose della storia politica e amministrativa di questo paese, intervallata da processi penali e indagini della Corte dei conti, che hanno messo a nudo l’incapacità gestionale del ceto politico e della classe dirigente nazionale e locale. In trent’anni quasi nulla è stato fatto. Ma poiché la perversione alle volte rasenta la perfezione, anche quel poco che è stato realizzato si è trasformato in un danno.

Per aiutare chi non conosce la realtà di Bagnoli a comprendere la vicenda occorre ricordarne i passaggi essenziali.
Dopo aver terminato la fase progettuale con il piano urbanistico, una legge dello Stato e un vincolo del Ministero dei BB.CC. nel lontano 1996, Bagnoli è rimasta paralizzata dall’ insipienza gestionale di tutti gli attori in campo.

La società che il comune aveva realizzato per la trasformazione di Bagnoli è fallita nel 2013; le bonifiche realizzate in collaborazione con il governo nazionale hanno prodotto condanne in primo grado nel 2018: la sentenza ha chiarito che la bonifica del suolo non andava fatta, perché i valori degli inquinanti erano già compatibili con l’uso commerciale, cioè l’obiettivo della bonifica.

Dopo gli interventi i terreni avevano gli stessi valori di prima (anzi, in alcuni punti addirittura peggiorati). La Corte dei Conti, nel novembre del 2020 , ha stigmatizzato che in questi decenni sono stati spesi 400 milioni per non fare nulla.
Dal 2014 il governo di Bagnoli è stato affidato ad Invitalia, con il ruolo di soggetto attuatore, e a un commissario governativo, individuato nel 2015 in Salvo Nastasi che il governo Conte I sostituì con un imprenditore privato (non, come da consuetudine, con un funzionario o amministratore pubblico).

Dal 2015 al 2019, il commissario, con la collaborazione di tutti i soggetti istituzionali (Comune, Regione e Stato, Invitalia) ha riscritto il piano per Bagnoli, riconfermando le scelte di fondo del piano del Comune, con alcuni peggioramenti. Nell’ultima conferenza stampa, l’attuale commissario per Bagnoli ci ha detto due cose. La prima, che «ci servono altri 700 milioni di euro oltre ai 400 disponibili».

La seconda, che la rimozione della colmata a mare, cioè di un manufatto di venti ettari che ha sfregiato una delle baie più belle del mondo, prevista originariamente dal piano del comune e riconfermata dallo stesso commissario nel Praru, dopo anni di discussioni, non sarebbe opportuna.

Un grande sceneggiatore non sarebbe riuscito a immaginare un epilogo più paradossale. Il commissario ci informa che ha in cassa la stessa cifra, 400 milioni, spesa in questi ultimi decenni per fare una bonifica che secondo la magistratura non doveva nemmeno cominciare. E adesso servirebbe esattamente il triplo di quella somma? C’è qualcosa che ci sfugge.

Poi, ha contestato l’opportunità della rimozione della colmata. Un altro paradosso gestionale, prima ancora che sotto il profilo della tutela della cultura e del paesaggio e di quello strettamente amministrativo.

Proprio il piano di questo commissario, che prevede la rimozione della colmata, è stato infatti la base per un costoso concorso internazionale di progettazione. Un concorso che si rivelerà a questo punto un inutile spreco di denaro pubblico, venendo meno l’ipotesi progettuale del ripristino della linea di costa.

Continuando così, però, si perpetua l’immobilismo, agendo in una maniera che ricorda la tela che Penelope disfaceva di notte e tesseva di giorno, perseverando nella trasformazione di un’emergenza urbanistica e sociale in una catastrofe finanziaria per il bilancio dello stato. Le esorbitanti stime contenute nel PRARU per il recupero di Bagnoli, cioè 1.800 milioni di euro, rischiano così, paradossalmente, di apparire congrue.

Sarebbe forse il caso che il dossier Bagnoli arrivasse sul tavolo del Consiglio dei Ministri, per evitare che fra trenta anni potremmo trovarci ancora a discutere di una Bagnoli da riqualificare e di soldi spesi inutilmente.

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