MLK/FBI mette agli atti la storia della sorveglianza, i ricatti e la campagna diffamatoria del Fbi per distruggere il premio Nobel per la pace e leader carismatico del movimento per diritti civili. Molte delle azioni intraprese all’epoca dall’agenzia di polizia federale per sabotare Martin Luther King erano già note: le intercettazioni, la tentata disseminazione di notizie sulle infedeltà coniugali di King e la lettera anonima redatta dagli agenti per incoraggiarlo a togliersi la vita. Il documentario di Sam Pollard è però la maggiore sistematica documentazione della campagna intimidatoria montata contro di lui nell’arco della sua carriera, pur mentre King conduceva le battaglie che avrebbero portato all’incontro col presidente Johnson e alla firma delle leggi contro la discriminazione e per il diritto al voto, che avrebbero rappresentato i suoi principali successi politici.

Nel film di Sam Pollard la campagna dell’Fbi si rivela una operazione degna di una polizia segreta di un regime totalitario. L’Fbi d’altra parte funzionava sostanzialmente come servizio segreto interno agli ordini insindacabili del suo padre padrone, J Edgar Hoover, che ne fu direttore dalla fondazione nel 1935 al 1972. Hoover fece dei servizi un feudo personale, affiancando inizialmente la caccia alle streghe di Joe McCarthy, ostacolando John Kennedy e suo fratello Robert e infine impiegando i suoi agenti contro i movimenti pacifisti e per l’emancipazione degli Afro Americani.

Non passa inosservata nel film di Pollard la singolare coincidenza della morte violenta di molti nemici giurati di Hoover, fra cui proprio i fratelli Kennedy ed il reverendo King. Intervistato da Pollard, lo stretto collaboratore Andrew Young (poi ambasciatore Onu e sindaco di Atlanta) sottolinea come difficilmente l’ Fbi, che pedinava, intercettava e affittava regolarmente stanze attigue in ogni albergo in cui alloggiava King, avrebbe potuto essere del tutto all’oscuro dei movimenti di James Earl Ray, l’uomo che avrebbe premuto il grilletto quel fatale giorno di aprile al Lorraine motel di Memphis.

Il sospetto di un complotto sancito da Hoover è legittimato dalla ampia ed infausta documentazione relativa a precedenti operazioni del Fbi impegnato di volta in volta a rovinare la vita di personaggi «scomodi» (per citarne uno fra i tanti, Jean Seberg l’attrice spinta al suicidio da una campagna diffamatoria architettata dal department). Negli anni della contestazione controculturale il direttore consolidò le operazioni di counter intelligence nel programma noto come Cointelpro, messo in campo per contrastare il movimento contro la guerra in Vietnam e raggruppamenti come le Pantere Nere. La repressione di Hoover fu violenta e spietata, un fosco capitolo della storia americana oggetto recentemente di molta rinnovata attenzione.

Dopo l’uscita americana del doc di Pollard a febbraio, la famiglia di Malcolm X ha reso noto una lettera postuma di un agente della polizia di New York che rivela il ruolo della polizia e dell’Fbi nell’arresto «preventivo» di due guardie del corpo per lasciare indifeso il leader nero nel fatale giorno suo assassinio nella Audubon Ballroom di Harlem. In base alle rivelazioni le tre figlie di Malcolm X hanno chiesto che venga riaperto il caso giudiziario per stabilire le responsabilità. Fbi e Cointelpro sono al centro anche di Judas & The Black Messiah il film nominato all’Oscar che racconta l’eliminazione di Fred Hampton, carismatico ventunenne leader delle Panthers di Chicago. Hampton che aveva costruito una coalizione multietnica di emarginati della città era stato dichiarato pericolo numero uno da Hoover, ossessionato dall’idea di un «messia dei neri» fu ucciso mentre dormiva in un raid notturno organizzato da Fbi nel 1968.

Un altro film che aspira all’Oscar è The United States vs. Billie Holiday di Lee Daniels che racconta la persecuzione della cantante fin sul letto di morte da parte degli agenti di Hoover, che riteneva pericolosamente sovversiva Strange Fruit, la canzone di Holiday che denunciava i linciaggi nel Sud segregato.
Gli sguardi critici all’Fbi ed a Hoover, una delle figure più rappresentative dei «fascismi americani», avviene non a caso in un momento di rinnovata militanza afroamericana espressa da Black Lives Matter e, di contro, della reazione nazional populista del trumpismo che, sottolinea Pollard, ha utilizzato contro Blm e Antifa la stessa retorica di Hoover.