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La pericolosa corsa ai vaccini dei nazionalismi

La pericolosa corsa ai vaccini dei nazionalismi – Ap /LaPresse

Una corsa sfrenata e senza esclusione di colpi quella sul vaccino contro Sars-CoV2. Chi arriverà primo avrà in mano la sorte del pianeta. È il clima della gara smodata di […]

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 10 settembre 2020

Una corsa sfrenata e senza esclusione di colpi quella sul vaccino contro Sars-CoV2. Chi arriverà primo avrà in mano la sorte del pianeta. È il clima della gara smodata di false promesse, come denuncia sull’Observer Jeremy Farrar, direttore di “Wellcome Trust”.

E come dimostra lo stop alla sperimentazione da parte di AstraZeneca di Oxford. La competizione coinvolge il mondo della scienza e le grandi multinazionali farmaceutiche che lo controllano, per l’acquisizione del brevetto e del potere di monopolio che esso conferisce.

Ogni passaggio di fase nello studio clinico fa schizzare le quotazioni in borsa e questo è precisamente l’effetto desiderato.

Una mobilitazione scientifica così contro lo stesso patogeno non si era mai vista: oltre 120 progetti di ricerca in corso, di cui 24 in fase uno (che verifica la sicurezza su un numero limitato di persone), 14 in fase due (di ampliamento dello studio), 9 in fase tre (per testare sui grandi numeri l’efficacia).

3 vaccini sono stati già approvati per uso limitato, tra cui quello sviluppato dalla cinese Sinovac: Pechino lo ha adottato per un anno riservandolo all’esercito.

Su questo scenario si innesta il nazionalismo sanitario che il Covid19 ha fatto detonare sin dall’inizio dell’epidemia. Un effetto indesiderato apparentemente incurabile e dunque destinato ad aggravarsi, se è vero come è vero che il nuovo coronavirus – a sua insaputa – è divenuto il principale campo di battaglia nella guerra di propaganda fra i protagonisti della politica internazionale.

Sulla frettolosa scoperta del vaccino i capi di stato ridisegnano la geopolitica.

Trump ha proclamato che l’accelerazione della ricerca clinica dovuta alla superiorità tecnologica americana renderà disponibile il vaccino made in Usa il 1 novembre. Guarda caso: due giorni prima del voto.

L’operazione “Warp Speed” (velocità della luce) lanciata con ingenti fondi pubblici e sotto l’egida della difesa si richiama al Manhattan Project che il governo americano dispose per l’ atomica.

Non si scherza, insomma. Gli Usa si sono accaparrati 800 milioni di dosi di almeno 6 vaccini in sviluppo, tutte per uso interno. America first. Il vaccino per farsi rieleggere.

E Putin, evocando l’era spaziale sovietica, ha annunciato a metà agosto Sputnik V, il vaccino finanziato con il fondo sovrano russo che ha prodotto una forte risposta immunitaria nei 76 pazienti testati, stando ai dati ancora da confermare pubblicati su The Lancet.

Resta problematico il fatto che la sua approvazione preceda la fase tre, avviata a fine agosto su 40.000 persone. La produzione su larga scala del vaccino dovrebbe cominciare a settembre, con una previsione di 500 milioni di dosi all’anno, anche per l’estero. Il vaccino russo sarà testato in Arabia Saudita, Filippine, India e Brasile.

E poi c’è la Cina, il vero contendente in questa guerra fredda sanitaria. Man mano che gli Usa si ritraggono dalla scena internazionale sanitaria per evitare l’Oms, la Cina avanza con una proiezione multilaterale del tutto inedita, grazie a Covid19.

Pechino aveva comunicato il suo nuovo protagonismo alla Assemblea mondiale dell’ Oms, con estrema coscienza di sé. La Cina punta a giocarsi la carta del “vaccino bene comune” per rafforzare la propria sfera di influenza geopolitica non solo in Asia – con un recente meeting regionale ha assicurato il vaccino anti-Covid a diversi paesi asiatici, alcuni coinvolti nella rovente disputa territoriale del Mar della Cina – ma anche in America Latina e in Africa. Sono 4 i vaccini cinesi in fase tre, con tutti i trial clinici all’estero (Medio Oriente e America Latina).

Nella scomposta gara globale per la scoperta del vaccino si annidano questioni che preoccupano però la comunità sanitaria.

La prima riguarda la tensione fra scienza e politica.

Quali pressioni produce l’annuncio di Trump sulla agenzia del farmaco Fda, ad esempio? Le nuove tecnologie velocizzano i tempi, certo, ma siamo sicuri che siano rispettati tutti i passaggi della ricerca clinica, più esigente per i vaccini rispetto ai farmaci (i vaccini si somministrano ai sani, non ai malati)?

Poi c’è lo squilibrio tra aspettative e realtà.

Occorre demistificare il vaccino. Non garantirà la soluzione magica, checché se ne dica. I coronavirus mutano, lo stesso vaccino contro l’influenza garantisce una copertura tra 30 e 50%, per qualche mese, un anno quando va bene.

Il vaccino anti-Covid di prima generazione avrà un beneficio limitato anche per l’effetto combinato di urgenza sanitaria e gestione proprietaria della conoscenza. Nessuno oggi sviluppa un approccio vaccinale integrato: modello di distribuzione, condizioni ottimali per una risposta immunitaria, prezzo d’accesso.

«Dobbiamo prevenire il nazionalismo del vaccino», ha dichiarato il direttore dell’Oms il 18 agosto, ma la rivista Nature, parlando di «ineguale arrampicata», denuncia che i paesi ricchi hanno pre-ordinato per sé oltre 2 miliardi di dosi (340 milioni di dosi per la sola Inghilterra).

Invece Covax Facility, l’iniziativa internazionale per i vaccini a basso costo per i Paesi a medio e basso reddito, resta al palo con soli 300 milioni di ordinazioni di dosi per tutto il sud globale.

La disuguaglianza pandemica permane, aggravata da Covid19: senza che alcuno corra ai rimedi.

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