Cultura

La perenne anestesia di Jo Cameron

La perenne anestesia di Jo Cameron

SCIENZA A causa di una rara mutazione genetica, la donna non ha dolori né ansie. La scoperta ha avuto grande risonanza, ma è presto per dire se condurrà a nuovi farmaci antidolorifici

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 31 marzo 2019

Quando sei anni fa Jo Cameron, una sessantacinquenne ex-insegnante scozzese, entrò all’ospedale di Inverness per curarsi una semplice artrite, non immaginava di diventare un caso scientifico mondiale. Era lì per una «trapeziectomia», un intervento piuttosto frequente mirato a ripristinare l’uso del pollice bloccato dall’artrite. Un intervento doloroso, ma nulla al confronto della sofferenza continua causata dall’artrite, a causa della quale spesso si rinuncia del tutto all’uso della mano. Per la verità, nel caso della signora Cameron il dolore sembrava sopportabilissimo. Ma la compromissione dell’articolazione non permetteva di rimandare l’intervento. Con grande sorpresa dei medici, dopo l’operazione la signora si accontentò di una tachipirina e l’indomani se ne andò a casa senza alcun dolore.

L’ANASTESISTA dell’ospedale, il dottor Devjit Srivastava, non aveva mai avuto esperienza di un caso del genere. Cercò la cartella clinica della paziente per vederci chiaro, e scoprì che effettivamente Jo Cameron aveva già mostrato in passato un’eccezionale resistenza al dolore. Un anno prima, si era sottoposta a un intervento di protesi all’anca, fissata solo dopo che una radiografia aveva rivelato la distruzione ormai completa dell’articolazione di cui però la signora non si era nemmeno accorta. Anche quella volta, una pasticca di paracetamolo bastò a rimandarla a casa dopo l’operazione.
A quel punto il dottore richiamò la signora per un colloquio, durante il quale si sentì raccontare una serie di episodi piuttosto bizzarri. L’ustione di una mano, di cui si era accorta solo per la puzza di bruciato che saliva dalla pelle, inconfondibile per una vegana come lei. La frattura di un polso, in cui se l’era cavata senza analgesici. Cameron e Srivastava parlarono anche del peperoncino scozzese, che in realtà si coltiva ai Caraibi ed è una delle varietà più piccanti al mondo (nella scala Scoville risulta dieci volte più piccante di quello calabrese): la signora Cameron lo masticava puro, come fosse gomma americana. Srivastava sottopose la signora a diversi test della personalità, da cui emerse una totale assenza di ansia o sintomi depressivi.
Il medico capì di trovarsi di fronte a un caso che lo avrebbe reso famoso. E magari avrebbe fatto dimenticare quella brutta storia che lo aveva già portato sui giornali: due pazienti lo avevano denunciato per le sue poco rispettose visite «intime», e aveva schivato il licenziamento per un soffio. Insieme all’équipe di biologi molecolari dello University College di Londra guidati da James J. Cox, Srivastava si mise alla ricerca di particolari mutazioni genetiche nella signora Cameron, trovando infine un indizio affidabile, se non proprio sicuro, riportato ora in uno studio sul «British Journal of Anaesthesia» che sta avendo grande risonanza sui media di tutto il mondo.
L’eccezionale resistenza al dolore della signora ha origini genetiche. Cameron presenta mutazioni in due regioni del Dna, il gene Faah e lo pseudo-gene Faah-Out. Faah regola il tasso di anandamide, un neurotrasmettitore che si lega agli stessi recettori della cannabis e che dunque viene chiamato «endocannabinoide».

IN SOSTANZA, l’anandamide è un analgesico rilassante prodotto naturalmente dall’organismo. Le due mutazioni aumentano il tasso di anandamide e bloccano la percezione del dolore e dell’ansia. Come spiegano gli stessi ricercatori, le somiglianze con la cannabis si fermano qui. Se la scoperta fosse confermata, il caso della signora Cameron potrebbe aprire la strada a nuove terapie contro il dolore, anche grazie alle nuove tecniche di modifica genetica. La ricerca di nuovi farmaci anti-dolorifici è un settore particolarmente attivo, soprattutto per i disastri causati dalla diffusione degli analgesici oppioidi negli Usa. Anche gli oppioidi agiscono regolando un neuro-trasmettitore, ma con effetti collaterali molto gravi.
Tuttavia, a causa delle aggressive campagne di marketing, negli ultimi anni le prescrizioni di farmaci oppioidi negli Usa hanno raggiunto cifre impressionanti. Ogni anno, nei soli Stati Uniti si contano quasi cinquantamila morti di overdose causate da farmaci oppioidi in pazienti che ne hanno iniziato l’uso per ragioni mediche e che si sono gradualmente trasformati in tossicodipendenti. Lo scandalo sta causando vertenze legali gigantesche, tra alcune delle principali società farmaceutiche e interi Stati che le accusano di aver deliberatamente condotto campagne di disinformazione per aumentare la diffusione dei loro prodotti.
Allo stato attuale, però, è impossibile prevedere se la ricerca di Srivastava, Cox e colleghi avrà ricadute reali. Per confermare la validità della scoperta sarà necessario verificare se le mutazioni di cui è provvista la signora Cameron sono presenti in altri individui con caratteristiche simili (nei database genetici è già spuntato un candidato in Colombia). Se la scoperta non dovesse essere confermata, il singolo caso difficilmente aiuterebbe a sviluppare nuovi farmaci. Peraltro, che il gene Faah (ma non lo pseudogene Faah-Out) fosse coinvolto nella trasmissione del dolore era cosa nota, tanto che sono già state effettuate sperimentazioni di farmaci che ne sfruttano il meccanismo. Ma le due sperimentazioni finora sono fallite. Nell’ultima risalente al 2016, tre dei quattro volontari che si sono prestati hanno sviluppato gravi malattie al cervello e uno di loro è morto.
Anche la signora Cameron, in cui il gene Faah è mutato naturalmente, presenta un lieve deficit di memoria. Dunque è probabile che il gene controlli funzioni importanti oltre alla trasmissione del dolore, e che un eventuale farmaco possa comportare pesanti effetti collaterali a livello cerebrale.

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NOTIZIARIO:

Festival delle Scienze National Geographic

Dall’8 al 14 aprile l’Auditorium – Parco della Musica di Roma (ma non solo) ospita il Festival delle Scienze National Geographic. In programma, 500 appuntamenti per adulti e bambini sia sull’attualità scientifica che sulla storia delle scoperte. È stata confermata la presenza dei premi Nobel per la fisica Donna Strickland e Gerard Mourou, inventori del laser a impulsi rapidi, e dell’antropologo Jared Diamond, l’autore del best-seller «Armi, acciaio e malattie». Conferenze, laboratori e spettacoli ricorderanno anche anniversari speciali: i 500 anni dalla nascita di Leonardo Da Vinci, i cinquant’anni dal primo allunaggio e i 150 anni di età del sistema periodico di Mendeleev. Altri eventi si svolgeranno al museo Maxxi, nei teatri Valle e Argentina, al Bioparco e nelle biblioteche comunali. Tutte le informazioni all’indirizzo bit.ly/natgeofest.

 

 

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Il fungo che uccide le rane

Un fungo sta decimando le rane. Sono le conclusioni di uno studio pubblicato sulla rivista «Science» da un nutrito gruppo di ricerca internazionale che ha indagato gli effetti della chitridiomicosi, una malattia degli anfibi causata da due specie di funghi, i Batrachochytrium dendrobatidis e salamandrivorans. Secondo i ricercatori, a causa dell’infezione si sono già estinte quasi un centinaio di specie. Si tratta cioè della più grave perdita di biodiversità attribuita a una malattia di cui abbiamo tracce dirette. Anche se l’impatto più pesante si è registrato negli anni ‘80, ancora oggi il 39% delle specie coinvolte sono a rischio di estinzione. Infezioni a causa di micro-organismi invasivi come quella dei funghi Batrachochytrium sono una delle cause della «sesta estinzione di massa», la massiccia perdita di biodiversità attualmente in corso.

 

 

 

 

 

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La correlazione tra pesticidi e autismo

Una ricerca pubblicata sul «British Medical Journal» ha evidenziato una piccola ma significativa correlazione statistica tra l’esposizione ai pesticidi (in particolare glifosato e avermectin) e lo sviluppo di disturbi dello spettro autistico. Lo studio è stato condotto studiando 2961 persone con diagnosi di autismo negli Stati Uniti e stimando la loro esposizione ai pesticidi durante la loro gestazione. La correlazione statistica però non determina un rapporto diretto di causa ed effetto. Molti altri fattori risultano correlati all’autismo (dall’età del padre agli antibiotici in gravidanza) e sembra accertata anche una predisposizione genetica. Lo studio però è importante perché conferma la possibilità che le cause ambientali, soprattutto durante la gravidanza, influenzino l’insorgenza dell’autismo e sottolinea l’impatto dell’inquinamento sullo sviluppo neurologico, già rilevato in molte altre patologie.

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