La percezione soggettiva di sé e la libertà del pensiero
Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos
Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos
È recente la polemica di una parte della comunità lgbtq (termine che riunisce realtà eterogenee unite dal comune denominatore di essere oggetto di una reale, niente affatto immaginaria, discriminazione) nei confronti del New York Times per aver pubblicato articoli critici nei confronti di un’interpretazione radicale della «transizione di genere» che può incanalare prematuramente in questa direzione, senza un’adeguata elaborazione della scelta, preadolescenti e adolescenti.
Prospettive analoghe su questo tema sono state ospitate, in alcune occasioni, anche dal “Guardian”, un’altra colonna del giornalismo progressista anglosassone. Il 19 Febbraio sulle sue pagine è stato recensito il libro della giornalista del Bbc Hannah Barnes: “Tempo di pensare: cosa è andato storto al Gids?”. Il libro è critico nei confronti del modo di operare del Gids (Servizio di sviluppo dell’identità di genere per bambini), della Tavistock Clinic di Londra che è stato chiuso un anno fa.
La contrapposizione tra una comunità oppressa dal pregiudizio e una parte della società (sempre più numerosa) repressiva, è diventata molto divisiva. Differenziare il «diritto civile» dall’osservazione, l’analisi e la comprensione critica dei fenomeni, sta diventando assai difficile, a detrimento del diritto da una parte e della libertà del pensiero dall’altra.
Non ci si confronta più sul diritto di una costruzione identitaria personale, ma sull’esistenza di identità categoricamente definite (e di conseguenza rigide) che (classificate giuridicamente) diventano canoniche per tutti. Lo scontro si dispiega tutto nel campo normativo: fanno parte della norma le categorie identitarie fin ora riconosciute o a queste categorie devono essere aggiunte altre nuove? Nella battaglia apparente tra spirito libertario e spirito reazionario si rischia che trionfi silenziosamente il liberismo: non si combatte più per essere liberi dalla norma, ma per la «libertà» di far parte di essa.
Con il termine «transizione» si intende l’intima esigenza, nata dalla percezione soggettiva di sé, di appartenere eroticamente, emotivamente e mentalmente al sesso opposto a quello del proprio corpo. La transizione è squisitamente psichica.
Definisce la non corrispondenza tra sesso psichico e sesso biologico. Data la natura psicocorporea polivalente della sessualità in ognuno di noi (siamo una combinazione di correnti omosessuali e eterosessuali, femminili e maschili che si definisce in modo complessivo in un senso o in altro) questo non è un dramma.
Un corpo può farsi carico di una dimensione biologicamente opposta della sessualità, pur in presenza di un limite che non è mai un difetto.
Essere socialmente/anagraficamente e giuridicamente/politicamente riconosciuti nella propria identità così come essa è percepita soggettivamente, è un diritto che nessuna legge democratica può negare.
Ciò vale anche per la decisione di risolvere la disarmonia tra psiche e corpo, operando su quest’ultimo per modificare la sua immagine attraverso il modo di comportarsi o di vestirsi o attraverso interventi ormonali o chirurgici. Un percorso personale, garantito dallo Stato, non una procedura burocratica e obbligante. La costruzione della propria identità (di qualsiasi tipo essa sia) non è mai una «carriera». È un processo interiore.
Inoltre, la percezione soggettiva dell’uno non può oggettivarsi giuridicamente come percezione soggettiva dell’altro. Ognuno è libero di avere una sua percezione della donna e dell’uomo in se stesso o nell’altro senza imporla a nessuno e senza essere oggetto di discriminazione a causa di questo.
Le idee sull’amore, sulla sessualità, sull’identità sono da sempre oggetto di passione, conflitto delle idee e delle emozioni, di dialogo che deve restare libero.
La legge deve proteggere questa libertà, in nessun modo deve scendere in campo e decidere a favore degli uni o degli altri.
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