La pelle e la pietra
Moscow Mule Cottbus, seconda cittadina del Brandeburgo sulla riva della Sprea. La segnaletica stradale è bilingue: tedesco e lingua soraba inferiore. I dintorni sono immersi nel verde dello Spreewald la cui nota […]
Moscow Mule Cottbus, seconda cittadina del Brandeburgo sulla riva della Sprea. La segnaletica stradale è bilingue: tedesco e lingua soraba inferiore. I dintorni sono immersi nel verde dello Spreewald la cui nota […]
Cottbus, seconda cittadina del Brandeburgo sulla riva della Sprea. La segnaletica stradale è bilingue: tedesco e lingua soraba inferiore. I dintorni sono immersi nel verde dello Spreewald la cui nota prelibatezza sono i cetriolini sott’aceto. La perla del Brandeburgo ospita ogni anno un festival del cinema dell’Est Europa e non mancano per le vie laccatissime del centro storico le vetrine della sezione dell’AFD dove è primo partito indiscusso. Su quest’ultimo nervo bollente tedesco, indirettamente ma neanche troppo, fino al 13 ottobre al Brandenburgisches Landesmuseum für moderne Kunst (bellissima ex centrale termoelettrica) una mostra collettiva del gruppo Apparat propone “Die Anderen sind Wir” (Gli altri siamo noi) in un cortocircuito di senso con lo slogan “Wir sind das Volk” (Noi siamo il popolo) e la domanda chi è chi? Qual è la paura tedesca? Il giovane fotografo Jakob Ganslmeier, classe 1990, presenta il progetto Haut, Stein (Pelle, Pietra) alternando ritratti e fotografie in bianco e nero di edifici. I ritratti sono quelli di chi si è disintossicato dall’estrema destra, ne è uscito, raccontato attraverso tatuaggi che marchiavano l’appartenenza. Schiene, braccia, gomiti, petti. A volte per motivi di sicurezza nascondono il volto. In parallelo Ganslemeier documenta i simboli nazisti ora ammaccati ora incredibilmente intatti su molti edifici in città, a Berlino, nei villaggi, per le strade. Aquile del Terzo Reich che pare abbiano ancora qualcosa da dire, forse a dare l’ennesima lezione dalla Storia. La denazificazione passa dalla pelle e rimane sulla pietra. Il percorso umano affrontato dai protagonisti ritratti è profondo e doloroso, così come l’eliminazione del tatuaggio stesso, nonché costosa e lunga. Spesso il laser non riesce ad asportare via tutto e quello che rimane, come una cicatrice, viene nascosto o trasformato in altro con differenti colori. Per alcuni è un modo per ricordare, per tenere viva la memoria del proprio percorso. Le foto di Jakob Ganslemeier risaltano nella loro semplicità e pulizia, sono minimali ma arrivano al nodo di ogni emozione. Per questo progetto ha avuto per circa due anni il supporto del programma dell’associazione EXIT impegnata dal 2000 ad aiutare l’uscita dall’ambiente dell’estrema destra. Fondata dall’ex detective Bernd Wagner e dall’ex leader neonazista Ingo Hasselbach, l’associazione ha assistito con successo più di 500 persone con un tasso di recidività del 3%. Nello spazio espositivo sono presenti anche copie di interviste che spiegano il ruolo avuto all’interno del milieu e le molteplici ragioni, personali e diverse, che hanno spinto a farne parte e uscirne. Non tutte le risposte possono essere tradotte in fotografia.
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