Non c’è l’ironia di Martin Parr, che ha più volte celebrato il watermelon con il suo sguardo notoriamente sarcastico, nelle fotografie a colori scattate da Victor Schrager per il libro The Melon.125 ritratti (quintoquartoedizioni, 2021) di Amy Goldman. Né i diversi intrecci iconografici con cui hanno «giocato» altri fotografi contemporanei, mettendo in relazione i frutti profumati della cucurbitacea con gli altrettanto molteplici aspetti della società: da Edward Weston a Wolfgang Tillmans, da Andy Warhol a Rinko Kawauchi, da Araki a Robert Mapplethorpe, fino alla giovane fotoreporter bengalese Tahia Farhin Haque. Bellissima anche Still Life with Watermelon che Irving Penn ha realizzato a colori nel 1947, citando forse le «teste composte» dell’Arcimboldo.

PIUTTOSTO, NEL LAVORO del fotografo statunitense (ha iniziato la sua carriera negli anni ’70 collaborando con la storica Light Gallery di New York, a contatto con grandi maestri dell’epoca come Harry Callahan e Aaron Siskind) emerge una ricerca molto più introspettiva che traduce visivamente quel rapporto empatico che si può instaurare tra fotografo e soggetto solo quando c’è un sentimento di fiducia reciproca.

SEMBRA INCREDIBILE ma è ciò che emerge, pagina dopo pagina, in The Melon che non è solo un libro ben confezionato nella veste grafica, ma una sorprendente fonte di conoscenza per chi volesse approfondire l’argomento. Certamente il fatto che il binomio Schrager-Goldman sia già collaudato da tempo, avendo Victor Schrager collaborato ad altri quattro libri tra quelli pubblicati da Amy Goldman è un punto di forza nel tracciare quella perfetta armonia tra scrittura e immagine.

LA SCRITTRICE AMERICANA, giardiniera e agricoltrice (anche ereditiera per la cronaca), esperta di antiche colture e semi, nonché di varietà a impollinazione aperta, è una delle più fervide promotrici della loro conservazione, temi che ricorrono anche nei libri che precedono The Melon: Melons for the Passionate Grower (2002), The Compleat Squash: A Passionate Grower’s Guide to Pumpkins, Squashes, and Gourds (2004), The Heirloom Tomato: From Garden to Table (2008), Heirloom Harvest: Modern Daguerreotypes of Historic Garden Treasures (2015).

LA DICHIARATA PASSIONE per i meloni nelle sue innumerevoli varietà (85 meloni e 40 angurie) – dalla Crimson Sweet alla Petit Gris de Rennes – ha portato l’autrice a catalogarli, ricostruendone la storia e il viaggio dal luogo d’origine al mondo, dalla terra alla tavola, attraverso un racconto che è anche molto personale e aneddotico. Quando, ad esempio, parla della varietà Arikara, che prende il nome dall’omonima tribù del Nord Dakota, scrive: «Si dice che discenda dalle angurie introdotte dagli spagnoli secoli fa. Secondo gli standard moderni, non può definirsi da dessert: la polpa è rosa pallido con un cuore bianco, a grana grezza, succosa e blandamente dolce. Lo trovo un eccezionale deposito di semi. Quando mi sono seduta a contare quelli essiccati che avevo estratto un paio di mesi prima dall’esemplare ritratto in questo volume, sono rimasta stupita dal risultato: 1176. Non sapendo come gli Arikara impiegassero un tempo l’anguria nella propria cucina tradizionale, ho sondato il terreno con gli attuali membri della tribù. Immagino che la consumassero cruda per rinfrescarsi e che conservassero i semi nutrienti per altre finalità (oltre che per piantarli di nuovo). Alcune tribù usavano infatti i semi di anguria come medicinale (schiacciati, masticati o in infusione) per trattare vari disturbi dei reni: ritenzione idrica, enuresi, sangue nelle urine e calcoli renali».

QUESTA VARIETA’, RECUPERATA alla fine del XIX secolo da Oscar Will, è stata introdotta sul mercato anche, tra le altre, nella variante del fagiolo giallo Arikara, della zucca Arikara e della zucca Gilmore (un incrocio tra Winnebago e Arikara). Al giorno d’oggi l’Arikara è nella lista dei semi di cui si occupa il progetto NAFSA – Native American Food Sovereignty Alliance, coordinato da Rowen White della Rete dei custodi di semi dei popoli indigeni che promuove e sostiene il movimento per la sovranità alimentare delle comunità tribali di Turtle Island (Nord America) con l’obiettivo di restituire agli agricoltori indiani le loro antiche sementi.