Ultimatum o mano tesa verso il compromesso? Il testo consegnato da Giuseppe Conte a Mario Draghi più che sintetizzare lo stato dell’insoddisfazione dei grillini diventa oggetto di contesa dentro un Movimento 5 Stelle in cui le spinte contrapposte si agitano fino all’ultimo minuto. La spinta dei parlamentari a rompere con il governo, per ritrovare slancio elettorale e smarcarsi dal doppione moderato del partito centrista di Luigi Di Maio, traspare all’assemblea congiunta serale.
«HO SPIEGATO a Draghi il forte disagio politico del movimento, una comunità che ha bisogno di capire se ci sono le condizioni per proseguire», dice il leader M5S nel ricostruire a deputati e senatori il vertice di qualche ora prima. «Non siamo disponibili a reggere il moccolo al grande centro e alla destra che vuole tagliare il reddito di cittadinanza», prosegue cercando di ridefinire le coordinate del M5S progressista che rischia di sfaldarsi di fronte all’incertezza e alle compatibilità di governo.

GIÀ DAL MATTINO al Consiglio nazionale si è palesata anche la voce dei governisti. Tanto che le prime indiscrezioni sull’esito dell’organismo interno, fatte trapelare mentre ancora il leader sta percorrendo le poche centinaia di metri che separano via Campo Marzio da Palazzo Chigi, dicono che hanno prevalso i «moderati», sostenitori del compromesso. La verità è che dopo una discussione non accesa nei toni ma palesemente animata da diverse prospettive, il fronte anti-Draghi ha accettato di considerare la lettera al premier come il documento sul quale costruire le condizioni per l’uscita dalla maggioranza. Questo sembra dire Riccardo Fraccaro, che si considera il custode del del Superbonus e che dunque patisce le chiusure di queste ultime ore. Lo stesso dice ormai da qualche giorno Stefano Buffagni, un tempo vicino a Di Maio e oggi fautore di una linea «autonomista» (dalla maggioranza e dal Pd) del M5S.

LE DIFFERENZE di prospettiva si intrecciano con le diverse interpretazioni del testo. I governisti si sentono rassicurati dal fatto che dai punti programmatici siano stati espunti i prossimi motivi di scontro: al posto dell’inceneritore di Roma e dell’invio delle armi in Ucraina figurano solenni ma generiche prese di posizione sulla collocazione internazione dell’Italia (con Unione europea e Nato, ma per la pace) e sulla transizione ecologica (definita «il nostro faro»). Chi lavora per uscire dal governo, invece, considera un ottimo preludio alle campagne dei prossimi mesi (da condurre dall’opposizione) questa caratterizzazione sui temi sociali e della diseguaglianza. Si attendono mesi durissimi di crisi, e il M5S spera di tornare a raccogliere i voti del malcontento, ad «ascoltare i senza voce» secondo l’immagine utilizzata da Conte all’indomani del tracollo delle amministrative.

CONTE DICE che si aspetta una risposta da Draghi «a breve». Anzi, «entro il mese di luglio». I parlamentari scalpitano anche perché sanno che la finestra estiva è l’ultima occasione per rompere con l’ex presidente della Bce: in autunno si ripartirebbe con la manovra finanziaria e a quel punto difficile che si trovi una scappatoia prima del 2023. Quando l’avvocato se ne accorge prova a correggere il tiro, dice che la responsabilità è stata equivocata per debolezza e che Draghi non ha in mano una «cambiale in bianco»: dopo le delusioni degli ultimi mesi i 5 Stelle hanno bisogno di «valide motivazioni per restare in maggioranza». Senza dimenticare il rapporto col centrosinistra: «L’alleanza ha bisogno di coesione – manda a dire Conte al Pd – Altrimenti serve soltanto a prendere voti. I diktat ci lasciano indifferenti».

LA MISSIONE da Draghi sarebbe dovuta servire a riaffermare l’autorevolezza del leader, nasce dalla storia delle telefonate del presidente del consiglio con Beppe Grillo. Conte rischia però di ritrovarsi con un Movimento 5 Stelle spaccato, per nulla pacificato al suo interno seppure fresco di scissione. «Il giocattolo gli sta scappando di mano», dice un parlamentare che gli è sempre stato vicino. La beffa è che la mossa che ha dato la stura ai sommovimenti sia stata proprio la scissione di Di Maio: i gruppi parlamentari contiani si ritrovano adesso ad agitarsi senza più un nemico interno e senza alibi di manovre oscure da cui doversi proteggere: è evaporato lo spettro del tessitore oscuro dalla Farnesina. La mossa del ministro degli esteri ha anzi messo sul piatto tutte le questioni potenzialmente divisive: la permanenza al governo, il prezzo dell’alleanza col Pd, i due mandati. E il rapporto con Grillo, il cui ruolo nel M5S secondo alcuni sarebbe una delle poste in palio di questa ennesima partita interna. Ciò che Conte avrebbe voluto evitare.