Visioni

La parola di Dente: «Nel mio Hotel souvenir ogni stanza è un ricordo»

La parola di Dente:  «Nel mio Hotel souvenir  ogni stanza è un ricordo»Dente – foto Irene Trancossi

Note sparse Il cantautore porta in tour il nuovo disco, nato in collaborazione con Federico Nardelli

Pubblicato più di un anno faEdizione del 28 giugno 2023

Una copertina dal sentore escheriano traduce graficamente, per mano di Andrea Ucini, lo sdoppiamento di un autore intento a guardarsi dentro e a dialogare con il se stesso di dieci anni fa. Giuseppe Peveri in arte Dente lo fa costruendo un rifugio della memoria, quell’Hotel Souvenir del titolo che è «spazio essenzialmente mentale, in cui ogni stanza è un ricordo». Souvenir nella sua traduzione più felice, non oggetto ma pratica del ricordare.
L’ultimo album è al centro del tour estivo che, ripreso il 21 giugno da Civitanova, vede ora l’agenda riempirsi di date, a partire da quella del 1° luglio a Pisa. Il cantautore emiliano presenta ogni canzone come «una storia legata a periodi specifici della mia vita. Mi piaceva l’idea di metterle tutte in un luogo unico». Un luogo privo dei proverbiali fantasmi del passato: quella sul tempo andato è piuttosto un’autoriflessione sugli effetti delle proprie decisioni, tanto compiute quanto mancate («Ma ti ricordi che dieci anni fa io non volevo decidere» canta in Dieci anni fa). «Tutte le nostre scelte ci portano a essere chi siamo, e bisogna accettare di essere anche ciò che non abbiamo fatto».
Guardarsi indietro, per un cantautore, significa anche ri-coniugare al presente frammenti di creazioni passate: «C’erano un paio di pezzi scritti nell’arco di dieci anni, iniziati in un dato periodo e finiti in un altro completamente diverso». Esempio da manuale, non a caso, Dieci anni fa, titolo che è anche una datazione precisa: «Ho tenuto le strofe ma ho modificato il ritornello, utilizzando parole che all’epoca non avrebbero avuto senso. In quel pezzo dialogo con il me stesso di dieci anni fa, in altre canzoni parlo al me stesso bambino. È proprio quello il concetto alla base della copertina».

Brani dalla lunga gestazione in un lavoro che si pone come un’autoriflessione sulle proprie decisioni

SOTTOLINEA a più riprese l’importanza del lavoro su di sé, un’altra scelta che il Giuseppe Peveri di dieci anni fa non avrebbe mai fatto: «Da buon provinciale pensavo di dover risolvere da solo ogni mio problema. Poi ho scoperto l’importanza della parola, e non solo quella delle canzoni, che pur mi fanno star bene».
E la paura di star bene è proprio l’altro tema di fondo di Hotel Souvenir: «È tutto ciò che ci frena, che non ci fa aprire, e non ci fa vivere con serenità. Ho scoperto che ce n’erano tante di paure, frapposte tra me e il mondo».
Dal punto di vista musicale, in questa nuova tornata di concerti lo vediamo rielaborare dal vivo gli arrangiamenti curati dal fido Federico Nardelli. «Lo conosco da anni, ed è bellissimo lavorare con una persona così vicina umanamente. Una volta portati i provini in studio abbiamo suonato solo io e lui, ma guidati dall’idea di essere una vera e propria band, fatta di pochi elementi essenziali. Ciò che più apprezzo delle sue produzioni è il riuscire ad avere un sapore vintage suonando moderne allo stesso tempo».

«Dalla storia di questo paese è sparito l’underground: non esiste più»

Moderni, o quasi postmoderni, suonano invece i tanti feat che hanno affollato l’album con intenzioni dichiaratamente parodistiche: «Ho voluto realizzare una canzone da feat, come fanno i rapper, ma con cantautori e cantautrici. L’idea era di fare il verso a questo mondo in cui il feat è obbligatorio, volevo prendere un po’ in giro questa abitudine».

IL CONFRONTO con i generi mainstream per antonomasia lo preoccupa, esortandolo all’analisi di spazi molto meno virtuali del suo Hotel: «Sarebbe bello che di spazio ce ne fosse per tutti, altrimenti diventa una cosa tragica, musicalmente parlando. Purtroppo è proprio la sensazione che ho. A un certo punto della storia di questo paese è sparito l’underground: non esiste più quella scena, non ha più appeal, a differenza del mainstream. Anni fa c’era già il pop da classifica, certo, ma avevi anche il live della band sperimentale sotto casa tua». La conclusione è in una metafora sportiva: «Oggi sembra esserci un solo campionato».

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