La parete elettrica
Cartelli di strada Le insegne pubblicitarie al neon, rendendo vivide piazze e strade delle città, hanno simboleggiato sviluppo e modernità per tutto il ’900. Scritte luminose protese a bandiera da balconi, svettanti agli […]
Cartelli di strada Le insegne pubblicitarie al neon, rendendo vivide piazze e strade delle città, hanno simboleggiato sviluppo e modernità per tutto il ’900. Scritte luminose protese a bandiera da balconi, svettanti agli […]
Le insegne pubblicitarie al neon, rendendo vivide piazze e strade delle città, hanno simboleggiato sviluppo e modernità per tutto il ’900. Scritte luminose protese a bandiera da balconi, svettanti agli angoli di edifici, sormontanti porte e portoni, sospese nel cielo sopra i tetti; slogan e silhouette a luci fisse, lampeggianti, ricorrenti e intermittenti. Ragnatele di lettere colorate, a caratteri cubitali, che imprigionavano i muri esterni di alte costruzioni modificando l’aspetto della loro architettura di pietra. Scopo del viaggio a Milano, nel ’70, o ’71, il settore delle tecnologie industriali della vecchia fiera campionaria, a pianta quadrata, di piazzale Giulio Cesare. Poi il passaggio obbligato in piazza Duomo, in Galleria, al Camparino, alla Rinascente, eccetera. In quell’eccetera non avevamo compreso, frontale alla facciata del duomo, la veduta di palazzo Carminati. Il quale, pur stupendoci, sebbene familiare in tante riprese per il cinema e la televisione, appariva fuor di luogo, dissociato dalla composizione organica della piazza. Risultava alquanto difficile cercarne un rapporto, trovare un nesso formale, fra il gotico del complesso religioso e la mescolanza di decine di scritte e immagini commerciali che coprivano totalmente il prospetto del palazzo lungo circa ottanta metri. Proprio quella dissonanza, però, in seguito è mutata in meraviglia. Meraviglia per il concepimento a far coesistere un edificio dedicato al culto con una struttura sovraccarica di cartellonistica a luci multicolore che reclamizzava i prodotti correnti del consumismo di massa (liquori, orologi, elettrodomestici, occhiali e altro). Ovvero i nuovi mercanti che, fuori dal tempio, si erano insediati fin dagli anni ’20 in un ambito profano, dirimpettaio, mirando al confronto se non alla competizione. E la piazza che, via via, si trasformava in luogo antesignano dell’inserimento e dell’integrazione. Ma questo, si diceva, lo abbiamo maturato successivamente, tornandoci e contemplando la fantasmagorica parete elettrica. La prima volta, in quella piazza, l’ubriacatura del neon non ci fece riflettere su nient’altro se non sull’idea di essere finiti in un vorticoso clima da luna park. E quasi ci aspettavamo, giungendo fin sotto il luccichio policromo delle plance dal richiamo seducente, di salire su una giostra. Non è mai esistito niente di simile in altre città europee, escludendo le mille luci delle insegne sempre accese di Piccadilly Circus a Londra. Il tramonto del secolo ha spazzato via tutto, fino all’ultima insegna pubblicitaria con lampade a fluorescenza, restituendo a quel palazzo la propria facciata ottocentesca, composta, decorosa… terribilmente anonima.
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