La parabola «tragica» di Aldo Togliatti
SCAFFALE «Il figlio del migliore, un libro di Giovanni De Plato
SCAFFALE «Il figlio del migliore, un libro di Giovanni De Plato
Aldo, il figlio di Togliatti, è riemerso dal nulla in cui accadimenti più grandi di lui l’avevano destinato. Non per occupare, a posteriori, un posto negli eventi storici del secolo scorso, ma per affermare che, a suo modo, sia esistito e la sua testimonianza ci possa interrogare. È come se il «milite ignoto», colui che è «nessuno», piuttosto che sconosciuto, uscisse dal suo stato marmoreo per parlare di sé e non della guerra e dell’atto «eroico» che l’hanno inghiottito.
Il figlio del migliore (Pendragon, pp. 154, euro 15), di Giovanni De Plato, è un libro attento, misurato, ma intenso, venato di una melanconia che coinvolge, impegna, resta aperta al lutto. De Plato psichiatra di grande esperienza, ha frequentato Aldo Togliatti nell’istituto psichiatrico dove, da «schizofrenico», ha passato gli ultimi trent’anni della sua vita. Racconta con scrittura precisa e temperata una storia in stile romanzato, ma aderente ai fatti reali, raccolta dalla viva voce del suo protagonista e dalla sua corrispondenza con i genitori.
LA TRIANGOLAZIONE tra Aldo e i suoi genitori è «tragica». La concatenazione degli errori compiuti, (i più terribili sono stati quelli in «buona fede»), la cui responsabilità cade necessariamente sui genitori, ha creato una situazione irreparabile, in cui non è stata la mancanza di amore a dominare il campo, ma la sua sottomissione a leggi a esso estranee. Dei tre l’«incolpevole» è Aldo, il più «colpevole» è Palmiro Togliatti. Tuttavia questa visuale, seppure corretta – perché il proprio figlio il segretario del Pci lo ha alla fine disconosciuto e abbandonato, di fatto -, fa anche ingannare. Tra i tre che pure, tra mille difficoltà, si vogliono bene, si amano e si odiano anche, l’autoreferenzialità, il chiudersi di ognuno nelle proprie ragioni, è sempre in agguato, anche quando la madre, Rita Montagnana, si aggrappa a un amore abnegante per il figlio che non è assistenza, ma un vero prendersi cura di lui.
NELLO SPAZIO «tragico» chi ci è rimasto incastrato (privo del privilegio isterico di cui gode lo spettatore: stare dentro e, al tempo stesso, fuori dalla scena infausta) e non ha sufficienti appigli nello spazio esterno – in modo da «rifarsi una vita» (come fece Togliatti, spostando altrove il suo senso di responsabilità), o per prendere cura di chi ha subito le conseguenze più gravi, senza cadere nel suo baratro (come fece Montagnana) – ha nella follia la sua unica vera scelta per restare vivo. È grazie alla follia che Aldo è uscito dal buio senza fine di una totale autoreferenzialità, dal labirinto di pensieri senza sbocco possibile, per assumere la più dolorosa delle responsabilità nei confronti di sé e degli altri. La follia non è «sragionare», ma un ragionare lacerato, discontinuo che mentre si inabissa nella voragine del vuoto, si rialza per ritrovare uno sguardo insieme lucido e irregolare, si accosta a prospettive insolite, come la bella descrizione dei vari tipi di silenzio che Aldo fa al suo dottore.
SARÀ LA MADRE a riconoscere che per lei e il padre gli affetti (di cui pure erano capaci) e la funzione genitoriale dovessero essere sacrificati alla costruzione di una società superiore, di uomini giusti e uguali. L’idea romantica e insieme spartana a cui Togliatti e Montagnana hanno dedicato una vita di rinunce, fu fondata sulla convinzione che i sentimenti familiari e quelli erotici fossero subalterni ai legami sociali solidali, che, dovendo scegliere, toccasse ai secondi la più assoluta delle priorità.
Sono infelici le società che rendono necessarie scelte tra affetti personali e doveri sociali. La differenza tra oikos e Polis non è sul piano dei sentimenti. I «legami di sangue», che si oppongono alla convivenza democratica, sono fondati su un aggregarsi difensivo, dettato da una logica di bisogni, su un interesse particolare che è cieco perché non ha sbocco all’universale. La possibilità di amare/odiare una persona, che così diventa per noi importante, è legata alla potenzialità di amare/odiare ognuna delle persone che abitano il nostro mondo ed è questa potenzialità, che fa incontrare il particolare con l’universale, che una società «giusta» dovrebbe facilitare e incoraggiare. Diversamente l’amore diventa un bisogno o un ideale astratto che rischia di legittimare ogni misfatto. Agli occhi di Aldo, il padre, figura esemplare, anticipatrice dell’uomo «Migliore», che una società senza precedenti avrebbe creato, figura proiettata dallo sguardo della madre su di sé, poteva avere come erede solo un signor «Nessuno». Chissà se nel suo perenne anelito del mare, la storia di Ulisse risuonasse dentro di sé.
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