Cultura

La parabola dello spettatore, tra fotografia e scrittura

La parabola dello spettatore, tra fotografia e scrittura

Scaffale «Aura. Viaggio in Italia», un volume di Alessandro Celani, edito da Aguaplano

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 27 luglio 2018

Testo di scrittura e fotografia quello di Alessandro Celani, Aura. Viaggio in Italia / Voyage to Italy (prefazione di John Onians, con un testo e foto di Teju Cole, Aguaplano, pp. 222, euro 30), formula che almeno da Sebald e poi oggi con Cole fra gli altri, ha riacquisito forte presenza, andando oltre i generi tradizionali del catalogo e dell’album.

Quanto a tradizione, Aura si misura anche con quella del Grand Tour, dei viaggiatori scrittori artisti del passato nel Belpaese. Non solo con loro – e qui sta uno degli aspetti più interessanti del libro –, ma anche con l’odierno turismo di massa, con i suoi rituali di visita e fruizione dei luoghi. Una parte delle fotografie e degli scritti vedono come protagonisti proprio i turisti, spesso armati di dispositivi come quelli della visualità virtuale o quelli per la riproduzione delle immagini. È soprattutto qui che Celani ci fa osservare le discrepanze fra visione e immagine, descrizione e evocazione, suggerendoci che queste dualità sono in realtà endiadi inseparate nell’immaginazione nella quale nuotano e si annodano.

L’IMMAGINAZIONE, cioè la facoltà fantasmatica dell’intelletto che apre l’accesso allo spazio che tutto comprende. Un accesso che dovrebbe far rimanere sulla soglia l’osservatore o al massimo farlo presente di riflesso. Celani evidenzia invece come varcare la soglia, cioè passare da osservatori a spettatori invadenti sia fra i gesti più caratterizzanti l’odierno viaggiare, vedere, partecipare a qualcosa.

Parafrasando una nota asserzione di Wittgenstein si potrebbe dire, nel caso di Aura, che ciò che non si vede è più importante di ciò che si vede nella misura in cui può esser detto. E, viceversa, che ciò che non si dice è più importante del detto nella misura in cui può essere mostrato. Attraverso questo rapporto tra visione e scrittura Celani è in grado di illuminare il silenzio che taglia il poema in prosa del suo libro e di far emergere dalle fotografie quello che a prima vista è meno notabile. Utilizzando una famosa distinzione in Camera chiara di Barthes, si potrebbe dire che le fotografie di Celani non si concentrano tanto sul punctum quanto sullo studium. Esse sono cioè spazi di contemplazione dai quali, anche con l’aiuto della scrittura, si scoprono dettagli, strati e addirittura presenze fantasmatiche.

È LETTERALMENTE tale quella che appare sulla prima fotografia del libro: il vecchio allestimento di Scarpa al castello sforzesco di Milano della Pietà Rondanini, qui restituita in una sagoma elettrica che punge, quasi disturba l’occhio. Ma questo ovvio punctum non esaurisce il senso dell’immagine, anzi si rivela una falsa pista. In basso al lato, avvolto da una patina di pudore appare anche un visitatore che rivela una somiglianza sbalorditiva con il ritratto dell’autore della Pietà. Michelangelo qui sembra sentirsi a casa. Non così forse nel nuovo allestimento asettico, sempre al castello sforzesco, in cui è stata spostata la sua celebre scultura.

AURA forse può essere aperto a qualsiasi pagina, ma certamente non è un libro da sfogliare velocemente. Si mancherebbe completamente la parte di visione fotografica evocata dall’intreccio con le parole.
Si potrebbero fare diversi nomi di fotografi e scrittori ai quali Celani guarda, per esempio il Parise dei Sillabari. Fra i fotografi, per esempio, Parr; sul suo voyerismo aggressivo che in passato riusciva a ironizzare sui comportamenti e le pose della società di massa e che oggi è suo malgrado depotenziato della sua vena critica. E ciò proprio in forza della sfacciata contro-spettacolarità che esibisce. Quello che Celani recepisce, come si vede anche dall’immagine scelta per la copertina, è un Parr rielaborato, filtrato della sua esibita provocatorietà che ormai non riesce a provocare quasi più nessuno. (È anche a causa di questa situazione che oggi la fotografia e chi la esibisce rilanciano esponenzialmente battendo sullo shock iperrealistico o sul calliconismo ad alta definizione).

In Aura, come aveva già esemplarmente fatto nel suo primo libro di fotografia e scrittura Diario mediterraneo (Morlacchi), Celani sembra avvertire che specie in fatto di immagini non si può combattere lo spettacolo attraverso i suoi stessi mezzi soltanto invertendone il senso.

A tal riguardo, oltre che un’archeologia del fotografo e dello spettatore, Aura è anche una via alla profanazione dello spettacolo turistico e delle immagini senza immaginazione.

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