La pandemia e l’alimentazione dei bambini
La comorbilità è la presenza contemporanea in uno stesso soggetto di due o più malattie. «Hai questo e pure quest’altro» avremmo detto qualche mese fa, adesso snoccioliamo il termine con […]
La comorbilità è la presenza contemporanea in uno stesso soggetto di due o più malattie. «Hai questo e pure quest’altro» avremmo detto qualche mese fa, adesso snoccioliamo il termine con […]
La comorbilità è la presenza contemporanea in uno stesso soggetto di due o più malattie. «Hai questo e pure quest’altro» avremmo detto qualche mese fa, adesso snoccioliamo il termine con naturalezza, anche se di per sé suona sinistro e nel caso in questione del Covid-19 tale si è dimostrato. Eppure la parola piace, ha acquistato popolarità e viene utilizzata spesso senza riflettere sul significato e sul valore premonitorio della stessa. Il report dell’Iss sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da Sars-CoV-2 in Italia ci dice che solo il 4,1% presentava zero patologie preesistenti (cioè diagnosticate prima di contrarre l’infezione), la restante quota del campione aveva già altre patologie, fra le quali la più ricorrente ipertensione arteriosa (67,9%) seguita da diabete mellito (30%). Per effetto delle misure di sicurezza disposte dal governo, bambini e ragazzi, che ringraziando madre natura sono toccati con leggiadria da questo virus, sono stati assoggettati durante il lockdown alle restrizioni più pesanti. Per settimane e settimane sono rimasti a casa. Senza classe, senza strutture sportive, senza passeggiate che sono state tiepidamente permesse da una circolare del Viminale, subito disconfermata dal presidente del consiglio. Hanno trascorso il loro tempo in un regime di assoluta sedentarietà, fra libri (pochi secondo i dati neri delle vendite dell’editoria), esperimenti culinari, virtuali e concreti, e video lezioni, queste tutte virtuali e per giunta poche.
Ma cosa avrebbero fatto, oltre naturalmente a socializzare a scuola, se non ci fosse stato il lockdown? Come vivono in tempi di pace virale questi bambini e ragazzi italiani? Il rapporto Istat di ottobre 2019 su Stili di vita di bambini e ragazzi ci racconta che in Italia (biennio 2017-2018) si stimano circa 2 milioni e 130 mila bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni. Emergono forte differenze di genere con una più ampia diffusione tra i maschi (27,8% contro 22,4%) e geografiche; l’eccesso di peso tra i minori aumenta infatti significativamente passando da Nord a Sud.
Nel complesso si tratta di 2,130 milioni di minori, inesorabilmente predisposti a una maggiore sviluppo di malattie in età adulta. E sono pochi meno – quasi 2 milioni, pari al 22,7% del totale – quelli che non praticano normalmente né sport né attività fisica.
È ormai provato da numerosi studi che l’obesità infantile rappresenta un importante fattore di rischio di malattie croniche.
I bambini obesi sperimentano rispetto ai coetanei peggiori condizioni di salute mentale e fisica: sono comuni problemi respiratori, ipertensione, resistenza all’insulina, problemi osteo articolari e ricadute pesanti sulla sfera sociale e relazionale.
Inoltre, se presente in età pediatrica, l’obesità si associa ad una più precoce insorgenza di patologie tipiche dell’età adulta, quali appunto ipertensione, diabete, disturbi cardiovascolari. Se una certezza nel mezzo di questa crisi ce l’abbiamo è questa: i bambini che stanno vivendo questa pandemia saranno gli adulti di domani e come arriveranno preparati al futuro dipenderà in larga parte dalle scelte operate in questo presente.
Sulla correttezza o meno delle restrizioni di moto imposte a bambini e ragazzi potremmo discutere a lungo. Sarei tentata di farlo, soprattutto se si pensa che si sono trovate linee guida per la ripresa di molte attività, mentre sulla didattica in presenza è stata posta da fine febbraio una pietra tombale. Se lo facessi però, forse rischierei di perdere tempo correndo il rischio di non mettere correttamente a fuoco la lezione che il Coronavirus ci sta impartendo. Ovvero la necessità di riprogettare il futuro. Perché da qualsiasi angolo si voglia vedere la questione (medico, sociale, economico), questo microbo, mentre continua a replicarsi, ci parla costantemente di prevenzione. Prevenire significa agire pensando al futuro. Più posti in terapia intensiva in condizione base, più investimenti sulla sanità pubblica, maggiore attenzione all’igiene della collettività. Maggiore sensibilità per il diritto alla salute dei bambini, futuri adulti sani.
Per quest’ultimo punto, per i bambini, alcune vie, in parte già percorse dagli altri paesi europei, ce le abbiamo davanti e sarebbe doveroso iniziare a lavorarci ora. Fondamentale è la strategia dell’educazione alimentare, impegno già preso ancora solo purtroppo in astratto nella conferenza stato regioni del 17.1.19. Altra azione irrinunciabile per combattere il fenomeno della malnutrizione dei bambini, di norma tanto maggiore quanto più povera è la famiglia, è quella di regolamentare e limitare la pubblicità di Junk-food, o HFSS (High Fats, Sugars and Sodium) spingendo nel lungo termine i produttori a modificare le ricette dei prodotti obesogeni. E ancora, potenziare e promuovere l’educazione fisica nelle scuole, visto che l’Italia, in quanto a diffusione dell’attività sportiva si piazza negli ultimi gradini della classifica europea, guidata dagli aitanti giovani dei paesi nordici.
Pensare che i problemi della ripresa scolastica siano solo le classi pollaio (altra espressioni orribile che ha recuperato fama in questi tempi), le mascherine e i distanziamenti significa ancora una volta rimediare. Non curare, tantomeno prevenire.
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