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La pagina scritta è di moda? Un ritorno con Lagerfeld e Dior

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ManiFashion Con ogni probabilità, è dai tempi del Sistema della Moda di Roland Barthes che la moda non si interroga su se stessa attraverso «la saggezza dei libri» (cit. Harold Bloom). […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 27 dicembre 2013

Con ogni probabilità, è dai tempi del Sistema della Moda di Roland Barthes che la moda non si interroga su se stessa attraverso «la saggezza dei libri» (cit. Harold Bloom). Era il 1967 e già allora il semiologo francese sentiva la necessità di interrogarsi sul significato della moda, sui suoi segni, sulle sue variazioni. In Italia il libro è stato pubblicato da Einaudi nel 1970 e ora si fa fatica a trovarlo in catalogo. Forse non è un male, perché l’analisi strutturale fatta da Barthes attraverso il linguaggio e le immagini dei giornali femminili oggi risulterebbe antiquata. Resta valido il metodo, però. Ma i semiologi di oggi hanno altro da fare (in Italia ci aveva tentato Omar Calabrese ad occuparsene) e hanno abdicato a favore delle parole dei personali shopper diventati autori di quei best seller che hanno definitivamente banalizzato un argomento già di per sé vissuto, sia dalla cultura ufficiale sia da quella popolare, come il festival dei merletti e dei cotillon.

Non che la moda sia sparita del tutto dalle librerie, ma gli esempi migliori si trovano solo negli illustrati: fotografie importanti su carta patinata, tutti con un aspetto in comune, la celebrazione di marchi storici attraverso materiali di archivio, quasi a volere rivendicare una nobiltà appannata se non perduta. Nonostante questo, due libri usciti recentemente sembrano invertire una rotta usurata. Il primo è Dior Glamour (Rizzoli) che raccoglie le foto di Mark Shaw, fotoreporter di Life corrispondente a Parigi dal ’52 al ’62, e racconta Dior con l’occhio, si potrebbe dire strabico, di un fotografo di cronaca poco interessato ai rituali, e più attento al fenomeno.

Tutto scritto, invece, Il mondo secondo Karl (Rizzoli) getta una luce da saetta meteorologica sui riti e sui miti della moda. Il libro, di Jean-Christophe Napias e Sandrine Gulbenkian, raccoglie le frasi, una sorta di aforismi, di Karl Lagerfeld, lo stilista ormai leggendario, vero irregolare della storia della moda degli ultimi sessant’anni. A volte crudele, soprattutto quanto affronta il mito dell’eterna giovinezza che angoscia la moda («La giovinezza è un club da cui tutti saranno espulsi un giorno o l’altro»), leggero quando parla di stile («La moda va consumata subito. Il meglio che possa accadere a un abito è di essere indossato»), sarcastico quando parla di sé («Sono improvvisazione totale»), spietato quando parla di Coco Chanel, di cui ha preso il posto («Chanel aveva il suo modo di essere chic ma non era mai elegante. Questo era il suo dramma»), il libro appare geniale perché parlando di sé e attraverso il suo sé irregolare Lagerfeld affonda gli artigli nel sistema della moda e di tutti gli altri che gli ruotano attorno, come può fare soltanto chi quel sistema ha contribuito a crearlo e alimentarlo fino a vederne l’imminente dissoluzione ad opera di banali imitatori. «Non ho niente da tramandare, sono un vero pacco», scrive di sé. E suona come un epitaffio.

manifashion.ciavarella@gmail.com

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