Cultura

La nuova vita dell’individuo libero

La nuova vita dell’individuo liberoYoan Capote, «Abstinencia Democracia», 2012

Convegni Pubblichiamo un estratto della relazione di apertura di «Socialismo: un’idea (in)finita?», un seminario di studi che si svolgerà a Cortona il 13 e 14 ottobre

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 10 ottobre 2017

La proposta contenuta nel recente libro di Axel Honneth, L’idea di socialismo, è quella di presentare il socialismo come un’idea normativa, un’ideale forma di vita, fondata tuttavia – e questo è l’elemento di novità di questa proposta – non sul valore dell’uguaglianza ma su quello della libertà. La solidarietà e i reciproci rapporti di riconoscimento che dovrebbero caratterizzare questa forma di vita avrebbero come finalità immanente non tanto l’uguaglianza sociale quanto l’implementazione dell’autonomia individuale.

NEL PROPORRE la relazionalità sociale come condizione per la libertà Honneth mostra il suo debito nei confronti della teoria hegeliana dell’eticità e della sua idea fondamentale, secondo cui negli esistenti rapporti «etici» fra gli individui andrebbe individuata la radice e le possibilità della loro libertà. Rispetto a Hegel tuttavia Honneth opera una significativa «rotazione della prospettiva», considerando quelle strutture relazionali e solidaristiche non come già esistenti e operanti bensì come ideali futuri. In tal modo la stessa eticità (ovvero le relazioni solidali del socialismo) diventa un ideale morale, un «dover essere».
Il capovolgimento della prospettiva diventa perciò il capovolgimento dell’eticità hegeliana (la normatività come qualcosa di già esistente) nella moralità kantiana (le relazioni solidali come qualcosa non ancora esistente e che deve essere realizzato). Ma – ovviamente – non basta affermare che qualcosa debba essere realizzato: bisogna anche mostrare come, e a quali condizioni, la forma di vita capitalistica possa trasformarsi in una forma di vita socialista.

Com’è noto, Marx, da buon hegeliano, aveva sempre evitato di delineare il socialismo come un ideale da realizzare. Esso sarebbe sorto immanentemente, a partire dalle contraddizioni interne allo stesso capitalismo. Certo, era evidente pure a Marx che il socialismo sarebbe stato anche una società più giusta. E tuttavia quella «superiorità normativa» avrebbe trovato il suo vero fondamento nella dinamica sistemica immanente al capitalismo. Honneth non sceglie questa strada. Rifiutando la transizione «sistemico-funzionalista» di Marx, Honneth tuttavia manca di vedere i vantaggi di quel programma, che risolveva l’antico problema del «dover essere» radicando immanentemente, nelle contraddizioni del sistema economico, la realizzabilità del progetto futuro. Se ora quelle istanze immanenti non sono più operanti, sarebbe comunque necessario radicare l’ideale libertà socialista nel reale, nelle potenzialità del presente. Ma questo non avviene nella proposta honnethiana. E ciò è tanto più grave quanto più essa è pretenziosa, immaginando il socialismo come nuova «forma di vita».

SE HONNETH si dimostra particolarmente critico nei confronti di alcuni limiti del programma marxista (mancando tuttavia di vederne al tempo stesso la forza), non è però altrettanto radicale nel prendere le distanze da quello che forse è il suo difetto fondamentale: pensare il socialismo come idea complessiva e totalizzante di organizzazione sociale, come pretesa di poter governare con volontà e coscienza i processi storici e di dominare gli automatismi economici con la razionalità politica. Presentando il socialismo come nuova «forma di vita», Honneth riprende l’idea marxiana del comunismo come «nuovo stato del mondo», organizzazione sociale radicalmente alternativa a quella capitalistica, dove il determinismo storico si capovolge colorandosi improvvisamente di tratti soggettivistici e volontaristici. In realtà quel brusco capovolgimento (di cui la storia ci ha dato ampia testimonianza) si radica nel mancato congedo dall’idea di totalità e nella convinzione che il socialismo comporti la costituzione di una nuova totalità sociale.

Honneth e Marx – su questo punto singolarmente concordi – sembrano non aver fatto seriamente i conti con la critica hegeliana della rivoluzione francese, il cui senso fondamentale è quello di mostrare l’inefficacia delle pretese soggettive della ragione nei confronti dell’oggettività storica.
Il fallimento di quello straordinario esperimento, il convertirsi della libertà assoluta nel terrore assoluto, sta nella pretesa della ragione astratta e dei suoi ideali di libertà di farsi storia, di tradursi immediatamente in progetto globale e organizzazione sociale complessiva.

ANCHE IL SOCIALISMO di Honneth, quando vuol proporsi come forma di vita (che dovrebbe informare di sé tutte le sfere delle relazioni sociali, dai rapporti privati e familiari fino a quelli economici e politici) finisce per soffrire, in ultima istanza, dello stesso difetto. Al contrario si tratta di pensare il socialismo non come alternativa globale al capitalismo ma come sua correzione critica, e che si avvalga delle potenzialità immanenti nel sistema capitalistico stesso (a livello sociale, economico, tecnologico, politico). Invece di immaginare una irrealizzabile società futura fondata sulla fraternità solidale, si tratta di mostrare un possibile sviluppo della libertà sociale a partire dalle forme di libertà che già esistono e già operano nelle nostre società. Invece di retrocedere dal punto di vista dell’eticità a quello della moralità, dobbiamo apprendere fino in fondo la lezione che ci proviene da Hegel e dal suo normativismo realista.

Secondo Hegel il bene, il giusto, la libertà o l’uguaglianza, non sono né ideali soggettivi né realtà ontologiche trascendenti (come le idee platoniche) ma sono realtà storicamente esistenti, incarnate nelle nostre pratiche e nelle nostre istituzioni. Da lì noi le apprendiamo, da lì noi le sviluppiamo, da lì trae forza ogni nostro progetto di emancipazione. Non nasciamo liberi, lo diventiamo, apprendendolo da ciò che già c’è. Se siamo ancora capaci di immaginare rapporti intersoggettivi liberi e solidali, lo dobbiamo proprio al contesto storico in cui viviamo, un contesto che giustamente dobbiamo criticare ma dal quale attingiamo proprio le risorse per quella critica.

SCHEDA

La Società Italiana di Teoria Critica organizza a Cortona il 13 e 14 ottobre un seminario di studi su «Socialismo: un’idea (in)finita?». Tre le sessioni: «Diverse visioni del socialismo», «Giustizia sociale e conflitti di inclusione», «La rivoluzione e la sinistra», con interventi di Marina Calloni, Ingrid Salvatore, Angela Taraborrelli, Marcello Flores, Stefano Petrucciani, Giorgio Cesarale, Giacinto Militello. Il seminario è su invito. Info sul sito della Sitc: www.teoriacritica.org.

 

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