La nuova scena italiana tra ogm e rami secchi
Riforme Secondo atto della mappa voluta dal Ministero della Cultura
Riforme Secondo atto della mappa voluta dal Ministero della Cultura
E venne il giorno dei Tric. Ma non è una favola di fantascienza: è il secondo momento di quella complicata macchinazione messa in atto dal ministero della cultura per «rinominare» (e ri-finanziare) gli enti che in Italia fanno teatro. Dopo quelli «nazionali» individuati la settimana scorsa, nella serata di giovedì sono stati resi pubblici i teatri di rilevante «interesse culturale». E quella che era stata la reazione acida (motivata o meno che fosse) di alcuni esclusi dalla prima tornata di promozioni, ieri ha preso corpo in dubbi e proteste ancor più generali. Perché la galassia dei Tric emersa ieri, sembra solo frutto della corsa ai titoli di chi ha saputo meglio «confezionare» la propria attività, renderla più promettente, se non proprio sberluciccante, piuttosto che consapevole e assennata divisione di risorse da parte dello stato.
Questo a cominciare dalla distribuzione geografica delle etichette ministeriali. I due enti che proponevano in Campania l’interesse culturale della loro attività (il Bellini di Napoli e il Ghirelli di Salerno) sono stati «retrocessi» a centri produttivi, dove appaiono per lo più centri teatrali per ragazzi, a parte qualche altra presenza curiosa come il Centro servizi e spettacoli udinese (ma la Contrada triestina non ha avuto neanche quella). Al sud, restano solo i due Tric siciliani, declassati dai vecchi stabili di Palermo e Catania, e uno nuovo di zecca, quello nato dalla fusione di due realtà baresi, l’Abeliano e il Kismet. Sull’altra isola, l’antica cooperativa Teatro di Sardegna guadagna anch’essa il suo «interesse culturale», anche se quest’anno ha in programma una sola produzione, e per poter concorrere si è fusa con un teatro di marionette, Is Mascareddas, con soddisfazione, si immagina, della sottosegretaria alla cultura Barracciu. Per il resto, deserto.
È una geografia teatrale che neanche Bossi ai tempi d’oro pre-Salvini avrebbe predicato. Ma che evidentemente piace al ministro suo malgrado Franceschini, che predica spesso la produttività reddituale della cultura. Come se questa non fosse anche un dovere da diffondere per chi governa, e non una semplice esazione di posti/poltrone e borderò. Finisce così che le proteste, dei delusi e dei retrocessi, sollevino anche problemi reali. Una legge che voleva differenziare e rendere più equa la diversa identità di coloro che facevano capo (e speranze finanziarie) al Fondo unico per lo spettacolo, rischia di confondere tutto dentro calderoni di pura etichetta. Come strilla il Teatro di Genova che mostra disagio ad essere equiparato all’entusiasta ma ormai sguarnito Teatro della Tosse. Senza pensare che manca all’appello classificatorio l’altro teatro genovese, l’Archivolto, che pure è quello che produce e gira in tutta Italia con maggior successo.
Ora qualcuno reclama trasparenza, qualcun altro addirittura dimissioni: sui giornali genovesi si invocano fin negli occhielli quelle di Lucio Argano, presidente della commissione. Che è un appunto un bravo economista della cultura, ma non gira certo ogni sera per i teatri. Ci vorrebbe almeno un Linneo per riconoscere nella nuova classificazione i rami secchi e quelli artificiali; e quelli trapiantati.
Quando questo processo palingenetico e immane sarà concluso, si potrà capire se davvero è una riforma questa che abbia un senso e una possibilità di attuazione. Per ora è una macchina celibe di caselle da riempire, o svuotare. I numeri oscillano senza ragioni apparenti (i nazionali dovevano essere 4 e sono 7, i Tric 15 e sono 20), le ragioni si fanno più labili (o discutibili i parametri), ma sicuramente diminuiscono i fondi. E arrivati agli spiccioli, è sicuro che gli ultimi non saranno i primi.
Tutto questo, e molto altro, riguarda la sola prosa. Un capitolo a parte, ma potrebbe rivelarsi un abisso incolmabile, si aprirà a guardar meglio nei teatri lirici, dove le guerre di successione stanno lasciando sul campo vittime illustri, mentre paurosamente tornano alle massime responsabilità nomi antichi, sempre e dovunque discussi. Alla Scala volevano licenziare il disinvolto sovrintendente Pereira, che però è stato riconfermato per altri cinque anni. A Cagliari il sindaco Zedda (di Sel) dopo i pateracchi degli anni passati, ha nominato sovrintendente dell’ente lirico Angela Spocci, cui va il primato di aver collezionato polemiche nelle più disparate istituzioni dello spettacolo che le sono state affidate, dall’Eti all’Inda al festival della Magna Graecia.
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