La nuova onda dei Safdie Bros
Cannes La selezione Usa: un po' di Sundance e indipendenti, le piattaforme streaming e quasi assenti gli studios
Cannes La selezione Usa: un po' di Sundance e indipendenti, le piattaforme streaming e quasi assenti gli studios
Coppola (Sofia), Lynch (televisivo), Haynes, Baumbach, Cameron Mitchell…la selezione americana di Cannes 70 è, come quasi sempre, in gran parte un misto di piacere garantito e di déjà-vu –un panorama dell’establishment del cinema indie, più qualche tocco di novità preselezionato da Sundance (quattro film quest’anno). Quasi inesistente il contributo dagli Studios (Universal distribuirà The Beguiled di Sofia Coppola; Paramount An Inconvenient Sequel, il doc ecologista con Al Gore, Fox Searchlight Patti Cakes –ma, nell’economia dei blockbusters, questi sono film minori, pseudoindie), mentre le piattaforme di streaming –Amazon e Netflix- consolidano la loro presenza per quest’anno, però rimango in forse per il 2018, dopo il braccio di ferro tra Netflix e i distributori/esercenti francesi da cui, mercoledì pomeriggio, è uscito un inaspettato comunicato stampa: dal 2018, tutti i film selezionati a Cannes dovranno prevedere un’uscita nelle sale della Francia. Come se il festival stesso, e il più famoso del mondo, si fosse fatto carico, e portavoce, delle preoccupazioni dell’industria locale. D’altra parte, anche l’annuncio di tre titoli televisivi (tra cui, made in USA, è Twin Peaks 3 !), è stato seguito da un disclaimer: volevamo celebrare degli autori che hanno una lunga storia con Cannes, non introdurre la TV sulla Croisette. Da questa tendenza ormai un po’ ossificata del tutelare il cinema di prestige tipicamente cannense, o lo status quo dell’industria che lo protegge, esce con forza l’inclusione in concorso di un film che punta tutto sul futuro, e con l’acceleratore a tavoletta.
I SAFDIE BROTHERS
Il nome americano a sorpresa nella competition è quello di fratelli Safdie – Benny e Josh, nouvellevaguisti newyorkesi, ospitati alla Quinzaine con i primi due lungometraggi (The Pleasure of Being Robbed –un film nato da uno spot di commissione per le borse di Kate Spade – e il parzialmente autobiografico Daddy Longlegs), i Safdie avevano fatto caso al festival di Venezia (poi a New York e a Tokio, dove hanno vinto) con Heaven Knows What, una storia di droga e amour fou, tratta dal diario su (loro) commissione di una giovane homeless newyorkese e ambientato tra un gruppo di tossici nelle strade dell’Upper West Side. Il nuovo lavoro di questi autori di un cinema all’apparenza disordinato ma in realtà colto e controllatissimo, Good Time, con un budget più alto, l’entusiastico backing dell’emergente A24 e un distributore francese in tasca, si avventura «fuori porta» ai confini est di Queens, nella notte tra Fuori orario e 48 ore, di Robert Pattinson rapinatore, che cerca di liberare il fratello. Insieme a Pattinson, tra gli interpreti anche Benny Safdie. Mentre alla fotografia è nuovamente Sean Price Williams.
SEAN BAKER
Se, in USA, Safdie sono gli eredi diretti della Nouvelle Vague, il cinema di riferimento di Sean Baker è quello neorealista. Quale anno fa, Cannes si era inspiegabilmente lasciata scappare l’occasione di presentare il suo magnifico, indomabile, Tangerine, ma il regista newyorkese trapiantato a Los Angeles quest’anno finalmente debutta al festival via Quinzaine, con The Florida Project, un film che (in 35 mm dopo l’I-phone di Tangerine), stempera un po’ gli arancioni violenti e il tono delira-fiammeggiante di quello precedente, nei pastello del Sunshine State, per una storia di bambini ambientata poco distante da dove Ramin Bahrani aveva girato il suo 99 Homes. Con Willem Dafoe nella parte del manager di un motel.
SOFIA COPPOLA
Tornando al concorso, e ai «ritorni», come non essere curiosi di vedere cos’ha fatto la regista di Le vergini suicide delle spericolate, sadiche educande sudiste di The Beguiled (In Italia, La notte brava del soldato Jonathan) che, in uno dei uno dei capolavori piu’strani di Don Siegel, insieme alla loro incestuosa direttrice Geraldine Page, prima salvano e poi mutilano il soldato nordista Clint Eastwood? Il film di Sofia Coppola è interpretato da Kirsten Dunst, Elle Fanning e Nicole Kidman, nella parte della direttrice, mentre Colin Farrell eredita quella di Clint. A quel cast femminile si contrappone un altro film del concorso, e uno dei due titoli Netflix che hanno rischiato di saltare all’ultimo momento (l’altro è l’attesissimo film USA del coreano Bong Joon-ho, Okja), The Meyrowitz Stories (New and Selected), scritto e diretto da Noah Baumbach, con un cast di pesi massimi comico-hollwyoodiani: Dustin Hoffman, Adam Sandler e Ben Stiller. E, dopo averci portato Carol, torna a Cannes anche Todd Haynes, insieme all’inseparabile direttore delle fotografia Ed Lachman e al suo produttore di sempre, Christine Vachon, con un altro adattamento letterario, Wonderstruck -da Patricia Highsmith a un libro per ragazzi, firmato dell’autore di Hugo Cabret, Brian Selznick. La storia giocata tra il 1977 e il 1927, tra Minnesota, New Jersey e New York, è interpretata da Julianne Moore, Michelle Williams e Milicent Simmonds. Fuori concorso, incuriosisce molto il documentario di Eugene Jarecki, Promised Land, road movie che attraversa il continente a bordo della Rolls Royce di Elvis Presley, durante la campagna elettorale del 2016, filtrando l’America contemporanea attraverso la memoria di quella del «re». E, fuori concorso, di vedrà finalmente anche How To Talk To Girls at Parties, un film, con Nicole Kidman e Elle Fanning, che John Cameron Mitchell ha iniziato a girare due anni fa.
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