Chi consulta un documento d’archivio o un volume a stampa in biblioteca non più coperto da diritto d’autore, sarà ora libero di riprodurlo analogamente a quanto accade nei musei pubblici dal 2014, e in linea con le policy di un numero crescente di istituti culturali in tutto il mondo. Si scardinano così veti anacronistici, gli stessi che finora hanno obbligato l’utente a rivolgersi a ditte private, con inutile aggravio per gli studiosi in termini di tempo e denaro. Addio alle tariffe sull’uso del mezzo personale, un vezzo tutto italiano, che infatti non sembra trovare confronti nei regolamenti di archivi e biblioteche del resto del mondo (perché infatti richiedere tariffe sull’uso di uno strumento personale che, al pari della matita, non comporta alcun onere di spesa all’amministrazione?).

Il 2 agosto 2017 il Senato ha infatti definitivamente approvato la Legge annuale per il mercato e la concorrenza (n. 124/2017), che, tra le altre cose, modifica l’art. 108 del Codice dei Beni Culturali, sancendo la liberalizzazione delle riproduzioni digitali con mezzo proprio in biblioteche e archivi pubblici per finalità culturali (art. 1, c. 171). A seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, le nuove norme entreranno direttamente in vigore martedì 29 agosto: a partire da questa data gli utenti di archivi e biblioteche potranno liberamente scattare fotografie con la propria fotocamera, smartphone (senza flash, stativi o treppiedi). Fino ad oggi la fotografia con mezzo proprio in archivi e biblioteche era vietata agli studiosi per garantire margini di profitto ai provati che gestiscono in esclusiva il servizio di fotoriproduzione per conto degli istituti oppure, quando era consentita, era vincolata al pagamento di una tariffa e di una richiesta di autorizzazione preventiva. Con l’entrata in vigore della legge saranno invece gratuite ed esenti da autorizzazione le riproduzioni di beni bibliografici e dei beni archivistici eseguite per finalità culturali, nel rispetto del diritto d’autore e della riservatezza dei dati sensibili.

Cade anche l’assurdo limite al numero di scatti effettuati con mezzo proprio, talora imposto in qualche istituto, che non sembra trovare giustificazione plausibile in presenza di manoscritti e volumi storici non più coperti da diritto d’autore. Chi dovrà spostarsi da un estremo all’altro d’Italia per raggiungere una biblioteca o un archivio, potrà ora ridurre al minimo tempi e costi di permanenza fuori sede grazie a quelle fotografie che lo aiuteranno a trascrivere in qualunque momento il testo del manoscritto oggetto di studio. Saremo infine liberi di fotografare non più solo per gli scopi strettamente privati e “personali” richiamati dai moduli di autorizzazione sinora richiesti, ma anche di diffondere immagini di fonti documentarie, agevolando forme di valorizzazione, condivisione e scambio di immagini tra studiosi, anche su piattaforme online.

Già nell’estate del 2014, eravamo a un passo da questa conquista civile, quando cioè il decreto legge Art Bonus aveva reso libera la riproduzione dei beni culturali per fini diversi dal lucro, salvo poi escludere i beni bibliografici ed archivistici con un emendamento ad hoc dell’ultimo minuto, pensato per salvare quelle entrate, assai modeste, assicurate agli istituti dalle tariffe sulle fotografie. In reazione a questo inaspettato passo indietro si è costituito, per iniziativa di alcuni studiosi, il movimento di idee “Fotografie libere per i Beni Culturali”, che oltre a raccogliere cinquemila firme tra gli utenti di archivi e biblioteche ha formulato una puntuale proposta di modifica del codice dei Beni Culturali che, dopo un fruttuoso confronto con il Ministero, ha in seguito ispirato il testo normativo confluito nel testo di legge sulla concorrenza.

In una prospettiva di “democrazia della conoscenza”, facilitazioni di questo genere possono dilatare l’orizzonte della ricerca, agevolando forme di cooperazione tra studiosi, ma soprattutto avvantaggiando chi, a causa di attività concomitanti, non può dedicare il tempo che desidera allo studio in archivio o biblioteca. E ancor maggiori saranno i benefici se verranno tradotte in circolare le linee guida contenute nella mozione del Consiglio Superiore Mibact del 16 maggio 2016, come richiesto da numerose associazioni di archivisti e di storici: nella mozione, tra gli altri punti, si chiede di poter pubblicare immagini di beni culturali in libri, cataloghi o riviste scientifiche mediante semplice comunicazione preventiva in via telematica in luogo della formale richiesta di autorizzazione su marca da bollo.

La liberalizzazione è una conquista civile che in realtà non fa altro che portare a compimento quella precedente, introdotta dal Art Bonus e che tre anni orsono aveva liberalizzato lo scatto in tutti i musei pubblici. Essa riafferma il fondamentale ruolo svolto da archivi e biblioteche, che non sono semplicemente chiamati a garantire l’attività di ricerca, ma a promuoverla in una prospettiva quindi attiva e dinamica, che ci viene direttamente suggerita dalla stessa costituzione: la repubblica promuove infatti lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnica (art. 9) che è da considerarsi libera per chiunque (art. 33). Al di là del vincolo costituzionale, uscirà rafforzato ben altro tipo di vincolo, quello di carattere “fiduciario” che dovrebbe sempre unire cittadini e istituzioni: nel rendere lecito, e anzi nel promuovere ciò che è stato sinora interdetto quasi fosse un “furto”, una rinnovata alleanza può infatti nascere tra gli istituti, che potranno ancor meglio interpretare il proprio ruolo di servizio per i ricercatori, e l’utenza, che si vedrà ampliate le possibilità fruizione digitale delle fonti documentarie. Tutto ciò non potrà che giovare all’immagine, oggi quantomai appannata, di archivi e biblioteche, ma gioverà davvero se questo traguardo diventerà il punto di partenza per una rinnovata attenzione da parte di politica e amministrazione nei confronti di questo settore strategico.

La conoscenza e il patrimonio culturale sono da considerarsi beni comuni, si sente spesso ripetere. Se però vogliamo sottrarre questo termine dagli abusi retorici che rischiano di svuotarne il senso più concreto, occorre superare la logica burocratica e proprietaria tradizionale che fa leva sulla necessità di un ferreo controllo pubblico sotteso all’autorizzazione e alla tariffa per la riproduzione. La macchina burocratica che governa la riproduzione del bene culturale e l’accento posto sulla proprietà dello Stato con l’ansia da controllo che ne deriva, rischiano, contrariamente alle migliori intenzioni che ne possono essere alla base, di far percepire la proprietà pubblica sempre più come res nullius e sempre meno come risorsa collettiva da valorizzare al massimo attraverso le straordinarie potenzialità di disseminazione del sapere che il digitale oggi consente. Con questa rinnovata consapevolezza oggi siamo in grado di ridimensionare in parte i timori che erano stati espressi a suo tempo da Walter Benjamin, il quale nella riproducibilità tecnica delle opere d’arte intravedeva il rischio di sminuire l’aura di autenticità che circonfonde l’originale. La tecnologia digitale fa infatti ormai parte integrante dello strumentario dello storico: da poco lo si è compreso in ambito museale, ora è arrivato il turno di archivi e biblioteche.

Un’ultima considerazione: all’estero la libera riproduzione, per quanto sia una pratica sempre più diffusa, è più una buona prassi legata alla discrezionalità dei singoli istituti. In Italia il nuovo provvedimento ha invece il merito, per legge, di liberalizzare le fotografie in tutti gli archivi e le biblioteche della pubblica amministrazione, rendendo il codice dei Beni Culturali meglio aderente al dettato costituzionale e aggiornandolo rispetto alle esigenze della ricerca nell’era del digitale. Con una simile innovazione possiamo tornare a proporci nel panorama internazionale come paradigma all’avanguardia: non più quindi solo in virtù della nostra illustre e secolare tradizione normativa in materia di tutela, ma anche per l’innovazione culturale che siamo ancora in grado di produrre.

 

* Fotografie libere per i Beni Culturali