Editoriale

La nuda proprietà

Quasi metà degli italiani – 49 ogni 100 – sarebbe, stando alla Banca d’Italia, più favorevole all’eguaglianza che non alla libertà. Altri popoli, come i francesi, che sanno tutto di […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 15 agosto 2014

Quasi metà degli italiani – 49 ogni 100 – sarebbe, stando alla Banca d’Italia, più favorevole all’eguaglianza che non alla libertà. Altri popoli, come i francesi, che sanno tutto di liberté ed égalité, o i tedeschi o gli spagnoli, sono di opinione contraria in ordine a quella scelta decisiva e le maggioranze per la liberté sono ampie. Da noi invece, solo altre 40 persone ogni 100, a chi le interroga, rispondono di essere per la libertà, mentre gli ultimi 11 su 100 si schermiscono, non sanno che dire, non hanno un’opinione da far valere. Si può pensar male e immaginare che forse rifiutano tanto la libertà che l’eguaglianza… degli altri mentre vogliono illimitate eguaglianze e libertà solo per sé, la famiglia, gli amici stretti. Nell’Occasional Paper «Ricchezza e disuguaglianza in Italia» (febbraio 2012) proprio della Banca d’Italia, a firma di Giovanni D’Alessio, sono riportate molte incongruenze nelle scelte economiche e nelle passioni italiche. Al di là delle chiacchiere si toccano molti punti determinanti della politica vera.

Il primo aspetto notevole è un fondale del quadro. L’”Italia che non cresce” è un paese molto ricco. Si è arricchita l’Italia a tassi quasi cinesi nel corso di una quarantina d’anni. La ricchezza nel corso del tempo è cresciuta del 4,5% all’anno tra 1965 e 2010 in termini di moneta costante del 2010. In questo ultimo anno, non troppo lontano, in piena crisi, la ricchezza media individuale era di 142 mila euro. Ciascuno dei 60 milioni di cittadini aveva certo un carico personale di debito pubblico di 30.000 euro, pagati i quali (magari mediante una formidabile patrimoniale) ciascun cittadino, lattante o centenario, avrebbe pur sempre una ricchezza media di 112 mila euro, rimanendo a tutti gli effetti tra i più ricchi abitanti del globo.

Lo sforzo maggiore è sopportato da 10 personaggi la cui ricchezza pareggia quella di tre milioni di connazionali – è sempre Banca d’Italia a renderlo noto – che dovrebbero studiare, imparare dai 10 e diventare ricchi come loro o quasi. Più in generale un 10% della popolazione ha una ricchezza equivalente al 40% della popolazione meno dotata; guardando invece al reddito, il divario è minore; il 10% della popolazione a maggior reddito vale come il 27% dei redditi del 10% con redditi minori.

Lo studio della Banca d’Italia si conclude con una raccolta di opinioni in tema di ricchezza. L’eguaglianza è presto risolta: almeno 8 italiani su dieci (85%) ritengono che “tutti dovrebbero avere il necessario per vivere”. Uno dei pochi commenti che Banca d’Italia si è permessa nel suo testo è che probabilmente si può riscontrare che in questo caso hanno inciso, sulle preferenze degli italiani, una o entrambe le educazioni civiche ricevute: quella cattolica e quella socialista. Risolto così il caso di coscienza, religiosa o politica che sia, l’ultima riga dell’opinione raccolta riguarda un altro problema scabroso: se “le tasse sull’eredità dovrebbero essere alte”. Questa sì che è l’occasione di prendere voce, e poi di dispiegare la propria politica, per un paese che tenga davvero all’eguaglianza.

Il passaggio familiare della ricchezza tra le generazioni dell’eguaglianza è la negazione. Mentre un numero che supera l’80% chiede un welfare caritatevole per tutti, a ritenere necessaria la tassazione sulla ricchezza ereditata, la più rilevante forma di perpetuazione della ricchezza, e quindi a chiedere una forma di eguaglianza comprensibile a tutti, sono meno di 4 persone ogni 10 (39%). Questa è l’Italia vera. Ma vedrete che prima o poi la rivoluzione francese arriverà anche da noi.

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