È inevitabile alzare lo sguardo dalle figure delineate in primo piano e portarlo verso il margine superiore del dipinto. Nel farlo si moltiplica, trascorrendone l’intera superficie, lo smagliante tripudio cromatico di questa Adorazione dei pastori fra i santi Agostino e Galgano di Pietro di Giovanni Ambrosi (Siena, 1410-1449), che ti si è parata innanzi come una festa, un’esultanza. Quello sfolgorio là in alto vibra d’un colore azzurro a comporre un cielo che va laggiù laggiù, sulla linea del lontanissimo orizzonte, schiarendosi in quei momenti del primo albeggiare nei quali sale dal mare una chiaria che non è più notte e non è ancora giorno.

Tra quel turchino più fondo che trattiene tuttavia la tenebra, e quel biancore che sale certe nuvolette leggere transitano lente, candide tanto da anticipar la luce piena del giorno che viene. Luce del giorno, ti avvedi, che ancora non si è depositata nella amplissima radura pianeggiante che si estende in un combinarsi di campi coltivati, di fragili recinti d’ovili, dei minimi ricoveri disseminati nella campagna per giungere alla città sul mare, i vascelli alla fonda e i velieri che vanno guadagnando, di buon’ora, il largo. No, su quella Galilea dell’anima, la notte ancora indugia e da quella oscurità un angelo brillante come l’oro ci richiama. Ci indica di riportare lo sguardo su questa grotta di fronte alla quale ci troviamo, perfettamente illustrata, che abbiamo tralasciato di osservare per recarci a quell’estremo margine del creato che va illuminandosi d’un chiarore finora ignoto sulla terra. Del suo pieno splendore quale si diffonderà tra gli uomini, testimoniano qui serafini e cherubini i sei angeli affrontati tre a tre disposti simili ad altrettante candelabre accese.

Paiono ardere d’un fuoco inestinguibile posti come sono sulla tettoia di canne che protegge l’ingresso della grotta dove il Bambino è appena nato. Le fiamme divine che alitano le loro tunichette non si appiccano al pensile graticcio che non brucia ma resta miracolosamente indenne. Quando la pittura si fa mirabile racconto: storia che con lo sguardo ri-miri, un guardare con meraviglia, il mirari dei latini.

E quanta ammirazione suscita in noi quest’opera di Pietro di Giovanni Ambrosi! Poche le notizie sulla sua vita. Le sue pitture le ha macinate il tempo. Ne restano frammenti, ora sparsi (a Berlino, a New York), e le poche rimaste (oltre la nostra Adorazione dei pastori fra i santi Agostino e Galgano conservata nel Museo di Palazzo Corboli ad Asciano, presso Siena) più o meno integre testimoniano la grandezza del pittore. Una Madonna dell’umiltà in Collezione Magnani Rocca; immagini di San Bernardino da Siena (si dicano ritratti eseguiti da Pietro, che il santo conobbe e frequentò.

Si tramanda che Bernardino venerava una Assunzione della Vergine di mano di Pietro, oggi perduta). E poi uno stendardo per San Sepolcro con su dipinte una Santa Caterina d’Alessandria e una Crocifissione; una Vergine Maria. Lavori che, pressoché tutti, si fanno risalire ai cinque anni tra il 1444 e il 1449. Anni di piena maturità e di eletti raggiungimenti conseguiti dal giovane maestro cresciuto alla scuola di Sassetta che muore, non ancora compiuti i trentanove anni, nel 1449, a settembre. Restiamo in silenzio di fronte alla stalla che Pietro ha reso fulgente nei colori di smalto.

Con la notturna civetta che ci guarda fisso, appollaiata su una gobba della spelonca, sono sette le figure che stanno d’attorno al neonato adagiato in fasce nella mangiatoia. Mansueti un asino e un bue riscaldano coi loro fiati Gesù. È sveglio, ben stretto nelle fasce donde spunta un baverino con un ricamo all’orlo, ornato di una collanina di corallo. Appoggiati ai loro bastoni due pastori sono inginocchiati nei loro rustici pastrani. Il loro cane maremmano grigio partecipa deferente, con una zampa alzata in segno di saluto. Maria e Giuseppe accolgono quegli omaggi senza alcun sussiego. Lei è avvolta in una cappa blu e delicatamente con la mano sinistra ne sostiene il bavero. Giuseppe, canuta la barba e i riccioli della composta capigliatura, indossa una pesante veste rossa. È il 25 dicembre. Siamo in pieno inverno.