Lavoro

«La nostra vita intermittente tra cassa e contratti di solidarietà»

Storia di Emilio Operaio dei laminatoi alla Kme di Fornaci di Barga

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 13 dicembre 2014

Ancor più dei 40, 50 mila manifestanti scesi nelle piazze di Firenze, Pisa e Siena, sono le adesioni nel settore privato a dare la riprova della riuscita dello sciopero generale in Toscana. In media si va oltre il 70%, rileva la Cgil, con punte oltre il 90% alla Whirlpool di Siena, alla Sammontana di Empoli e alla Kme di Fornaci di Barga. E proprio dalla fabbrica di laminati in rame della lucchesia, fondata nel 1916 da Luigi Orlando e quindi arrivata al secolo di vita, è arrivato l’intervento più apprezzato dai 10 mila manifestanti pisani.

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Un battimani corale ha salutato le parole di Emilio Cecchini, trentacinquenne delegato Fiom nella Rsu della Kme, che era stato assunto nel 2000 per lavorare nei laminatoi quando nelle due fonderie per rame e ottone si fabbricavano le leghe per le euromonete. Ma che dal 2007, dopo la cessione del gruppo Orlando a una società finanziaria di Enzo Manes – assai vicino a Matteo Renzi e alla ministra (conf)industriale Federica Guidi – sta vivendo con i 600 compagni di lavoro superstiti (erano un migliaio) una vita lavorativa fatta di cig, cigs e contratti di solidarietà.

«Otto anni di ammortizzatori sociali – riepiloga Cecchini – con dal 2009 l’avvio di un quinquennio “mobile” di solidarietà, e ora di nuovo in cassa integrazione. Sia pure con la speranza di ripartire ad agosto con un nuovo quinquennio di solidarietà». Guadagnando molto meno, ma salvaguardando tutti gli addetti di Fornaci di Barga: «Siamo sempre riusciti a conquistare accordi del genere – ricorda – tanto che in questi anni ci sono state solo dimissioni volontarie. Nessun licenziamento. Il problema è che fino al 2005 si vendeva ogni anno 100mila tonnellate di rame, producendo di volta in volta per il settore siderurgico o per l’edilizia, fino alle leghe per le monete dell’euro, frutto del lavoro del nostri centro ricerche. Oggi invece siamo poco sopra le 50mila tonnellate. E sì che noi siamo in grado di produrre, in rame, un po’ di tutto. In questo contesto, è stata una fortuna mantenere tutti i nostri posti di lavoro».

Sul declino produttivo italiano, sulla mancanza da vent’anni di politiche industriali all’altezza di un mondo sempre più interdipendente e globalizzato, Cecchini ha aggiunto in piazza la denuncia, senza appello, di un sistema deficitario di relazioni sociali e industriali. Un sistema che il governo Renzi sta addirittura aggravando ulteriormente con il jobs act: «Con la famiglia Orlando eravamo “nemici” ma ci fidavamo. Si contrattava per migliorare i salari e le condizioni di lavoro, al tempo stesso capivamo che c’era una attenta politica industriale da parte del gruppo. Con innovazioni, di processo e di prodotto, che ci vedevano compartecipi. Oggi invece, con i “finanzieri”, se non arrivano in breve gli utili quelli ci mettono un attimo a dire “ristrutturiamo”. Facendo a pezzi le fabbriche» Un esempio pratico delle parole di Cecchini arriva proprio da Kme, che dopo il passaggio di mano nel 2005 chiuse il suo stabilimento pistoiese di Campo Tizzoro: «Lottando e lottando siamo riusciti a portare una novantina di addetti a Fornaci di Barga – ricorda – ma ce ne sono stati almeno 150 che sono dovuti andare a casa».

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