Internazionale

«La nostra lotta campesina ai veleni delle multinazionali»

«La nostra lotta campesina ai veleni delle multinazionali»Hugo Blanco Galdós

Intervista Hugo Blanco Galdós, dall’autodifesa armata alla battaglia per la biodiversità

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 10 maggio 2015

Hugo Blanco Galdós, lunga barba bianca e cappello di paglia, rappresenta un pezzo di storia del Perù: una storia di resistenza contadina e ambientalista, che continua ancora oggi a dispetto degli 81 anni e delle difficoltà affrontate. In questi giorni è stato in Italia per un giro di incontri, che si è concluso il 30 aprile e il 1° maggio, a Torino e nella sala consigliare di Bussoleno , dove ha partecipato al dibattito dal titolo «Minera Yanacocha, Tav. Le lotte popolari contro il neoliberismo». Il ricavato della cena all’Anatra Zoppa andrà a sostenere la rivista Lucha indigena, che Blanco ha fondato e che dirige.

Ai tempi dell’università, durante un viaggio di studio in Argentina, Blanco conosce il movimento trotskista e vive le prime esperienze sindacali. Tornato in Perù, raggiunge il Partido Obrero Revolucionario (Por) e, nel 1958, partecipa alla famosa protesta studentesca contro l’allora vicepresidente Usa, Richard Nixon, preso a sassate all’università di San Marcos, a Lima. Dopo quel primo impegno radicale, il partito lo confina nella sua regione d’origine, il Cusco. Lì viene eletto delegato del Sindacato unico dei venditori di giornali e poi del Sindacato contadino di Chaupimayo. Via via che la sua esperienza nelle organizzazioni sindacali contadine si rafforza, Blanco si allontana dal Por. La lotta campesina si radicalizza, si organizzano le occupazioni di terre, la repressione aumenta. Hugo sceglie l’autodifesa armata e partecipa alla colonna guerrigliera Brigada Remigio Huamán, che prende il nome di un contadino ucciso dalla polizia.

Cosa ricorda di quelle lotte e di quel periodo?

Allora, nelle campagne vigevano rapporti semi-feudali. Il latifondista o il proprietario terriero dava al contadino un piccolo appezzamento di terra perché la lavorasse per sé, ma in cambio doveva lavorare anche per la tenuta. Con l’organizzazione e la lotta abbiamo ottenuto che la terra fosse data ai contadini. Questo ci è costato molti morti e prigionieri perché il governo, mediante la polizia difendeva il sistema latifondista. L’organizzazione contadina, allora, mi ha dato l’incarico di organizzare l’autodifesa, e l’ho fatto. Quando mi hanno preso, nel ’63, volevano condannarmi a morte, ma non hanno osato per via della mobilitazione popolare. Nel ’66, dopo tre anni di carcere, mi hanno condannato a 25 anni, ma siccome la protesta nazionale e internazionale continuava, mi hanno liberato dopo 7 anni. Però, nel ’71, mi hanno deportato. In tutto, sono andato in esilio tre volte. Nel ’76 sono andato di nuovo via dopo una protesta popolare contro il governo militare del generale Francisco Morales Bermúdez. Nel ’78 ho fatto ritorno e ho partecipato all’Assemblea Costituente per la transizione al governo civile.

Da allora, lei è stato eletto varie volte al parlamento nelle fila di Izquierda Unida. Qual è il suo bilancio? Che pensa della situazione politica attuale?

I governi peruviani sono al servizio delle grandi imprese transnazionali. Anche quello attuale. Ollanta Humala ha detto che con lui sarebbe stato diverso, però sono state promesse da marinaio. Non solo i governi, ma le maggioranze parlamentari, il potere giudiziario, la polizia, l’esercito, i grandi mezzi di comunicazione, tutti difendono le aggressioni delle grandi compagnie transnazionali alla natura. In Perù, l’attacco peggiore all’ambiente arriva dalle miniere a cielo aperto, dove bisogna far saltare 4 tonnellate di roccia per tirar fuori un grammo di oro, usando una gran quantità di acqua con cianuro. Questo rende inutile l’acqua per uso umano diretto, per l’agricoltura e per il bestiame che nutre il popolo. Per questo i contadini dicono: «Preferisco morire di una pallottola che senza acqua». La resistenza è forte, oggi sono ferme le due peggiori minacce alla natura, la miniera Conga, nel nord, e la miniera Tia Maria, nel sud. Oltre alle miniere, la natura peruviana è aggredita dall’estrazione di petrolio che avvelena i fiumi della selva ammazzando le popolazioni native. E poi ci sono la deforestazione, i veleni portati dall’agro-business. Non abbiamo speranza che per via elettorale si cambi la situazione in Perù. Dobbiamo lavorare per il coordinamento delle lotte in difesa del nostro grande tesoro, che è la biodiversità. Per questo ci aiuta la solidarietà internazionale.

A un certo punto lei ha imbracciato le armi. Cosa pensa di Sendero Luminoso?

Il peggior momento per il movimento popolare si è verificato durante la guerra tra i governi peruviani e Sendero Luminoso. Sono stati assassinati 70.000 peruviani, la maggior parte indigeni: ammazzati sia dai governi che da Sendero. Per questa ragione, a livello sociale, oggi veniamo dopo la Bolivia e l’Ecuador. Anche se, per fortuna, stiamo recuperando terreno con la lotta.

Durante i vertici sull’ambiente, i movimenti si fanno sentire, appoggiano e sono appoggiati dai governi che si richiamano al socialismo del XXI secolo e che hanno messo al centro dei loro programmi l’imperativo: cambiare il sistema per cambiare il clima. Cosa pensa di questo nuovo ciclo dell’America latina?

Appoggiamo i governi progressisti del Sudamerica quando si scontrano con l’impero o contro l’oligarchia interna, li combattiamo quando si scontrano con i settori popolari o li abbandonano. Appoggiamo con forza la resistenza del governo del Venezuela all’attacco yankee che pretende di sovvertirlo con un colpo di stato. Appoggiamo lo smantellamento c he ha fatto Correa della base Usa di Manta. Appoggiamo l’espulsione della Dea (un organismo yankee) dal territorio boliviano. Appoggiamo la difesa che fa Morales della foglia sacra di coca che non è nociva (naturalmente questa difesa non include la cocaina). Protestiamo contro il governo del Venezuela quando permette che i capitalisti allevatori rubino e usurpino le terre degli indigeni yupka, o quando l’esercito del Venezuela perseguita gli indigeni wayu, vicino alla frontiera con la Colombia. Protestiamo quando il governo venezuelano ostacola la realizzazione del Congresso della centrale operaia rivoluzionaria. Protestiamo quando il governo della Bolivia approva una legge sulla miniera senza consultare gli agricoltori indigeni. Protestiamo quando pretende di costruire una superstrada attraverso il territorio indigeno, e che è anche una riserva naturale come nel Tipnis, contro la volontà delle popolazioni indigene della zona e di quelli che le appoggiano. Protestiamo contro il governo dell’Ecuador quando pretende di aprire una miniera nel Kimsa Cocha, tre lagune le cui acque sfociano negli oceani Pacifico e Atlantico dopo aver irrigato una gran quantità di terre di piccoli agricoltori indigeni. Protestiamo quando, contro l’opinione della maggioranza degli ecuadoriani, pretendono estrarre petrolio dalla meravigliosa riserva naturale dello Yasuni, pregiudicando anche le popolazioni indigene.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento