Europa

La nemesi della democrazia

In un’intervista apparsa su queste pagine il 31 gennaio scorso, l’ex viceministro dell’Economia Stefano Fassina annuncia l’arrivo di «un’ondata populista anti-europea che travolgerà il Parlamento di Bruxelles eletto nella prossima […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 11 aprile 2014

In un’intervista apparsa su queste pagine il 31 gennaio scorso, l’ex viceministro dell’Economia Stefano Fassina annuncia l’arrivo di «un’ondata populista anti-europea che travolgerà il Parlamento di Bruxelles eletto nella prossima primavera». Questa previsione è del resto condivisa dalla grande maggioranza degli addetti ai lavori, che denunciano le nefaste conseguenze di un’imminente avanzata dei populismi sul traballante edificio comunitario. Dalla Francia, con il successo del Front National nelle recenti elezioni comunali, già si avvertono inquietanti scricchiolii.
In effetti, a poche settimane dal voto europeo del 22-25 maggio non si può escludere l’esaurimento della parabola di un’Europa che nelle intenzioni dei suoi padri fondatori nasce democratica, federalista e solidale, cresce all’insegna dell’austerità tecnocratica e liberista, e muore vittima delle sue stesse ricette sbagliate dilaniata e populista. La preoccupazione è quindi legittima, ma è impossibile capire le ragioni dell’ascesa populista senza collegarle al tradimento della democrazia a cui assistiamo da trent’anni.
Trent’anni di liberismo senza freni in cui sono cresciute a dismisura, fino a esplodere con la crisi economica attuale, disuguaglianze, disoccupazione, precarietà. Mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, i ceti medio-bassi subiscono un sistematico impoverimento e arretramento in termini di reddito, lavoro, diritti, tutele di welfare. E ci sarebbe perfino da chiedersi se il patto di cittadinanza non si sia ormai spezzato sotto le spinte centrifughe dell’atomizzazione e della polarizzazione sociale, dell’individualismo consumista, degli egoismi delle élite.
In Europa, i partiti di più lunga tradizione e largo seguito – innanzitutto quelli della sinistra riformista – sono migrati dalla società civile nello Stato per gestire la rendita politica e istituzionale, hanno abdicato alle proprie funzioni di inquadramento, organizzazione e mobilitazione del consenso e delle istanze popolari, hanno dismesso molte tra le parole chiave del vocabolario democratico – uguaglianza, solidarietà, emancipazione, conflitto – accettando supinamente gli imperativi del mercato e i diktat della troika.
Con buona pace di una rappresentanza che nel contempo si è fatta rappresentazione mediatica e plebiscitaria. La miscela di personalizzazione, commercializzazione, spettacolarizzazione del registro espressivo della politica democratica alla base di questa mutazione è oggi potentemente (e profittevolmente) veicolata da vecchi e nuovi media, dalla televisione con i suoi programmi di infotainment ai social network con il loro miraggio tecnologico di democrazia elettronica e istantanea. Lo spettro populista che potrebbe ben presto materializzarsi è allora il frutto avvelenato di una democrazia in crisi, a livello statale ed europeo.
I populismi si alimentano alle radici di questa crisi e speculano animando il rancore di cittadini frustrati, impoveriti, quanto mai esposti alla seduzione di capi carismatici (e mediaticamente attraenti), messaggi semplificatori, facili demagogie: il ritorno all’età dell’oro delle monete e delle sovranità nazionali, l’eliminazione dei nemici interni ed esterni – magari a partire dagli immigrati – che attentano a una pretesa unità e integrità del popolo, e così via. Insomma, tanto più la promessa democratica del «governo del popolo, dal popolo e per il popolo» viene tradita, quanto più viene espropriata e strumentalizzata dai populismi.
Tra tutti quelli che verseranno lacrime di coccodrillo il prossimo 25 maggio, chi si ricorderà di onorare quella promessa?

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