La ’ndrangheta rideva del terremoto
Emilia Romagna Tra i 160 arresti e gli oltre 200 indagati, anche il consigliere comunale forzista di Reggio. A capo di tutto, la cosca di Nicolino Grande Aracri, che nella regione aveva rapporti con politici, funzionari comunali, giornalisti e anche un poliziotto
Emilia Romagna Tra i 160 arresti e gli oltre 200 indagati, anche il consigliere comunale forzista di Reggio. A capo di tutto, la cosca di Nicolino Grande Aracri, che nella regione aveva rapporti con politici, funzionari comunali, giornalisti e anche un poliziotto
Sono 160 gli arresti, 117 solo in Emilia-Romagna. Esplode così un’inchiesta nata a fine 2010, e che ora mostra, nero su bianco, l’esistenza da almeno venti anni di una cellula ’ndranghetista in Emilia Romagna.
Non la classica attività mafiosa a base di controllo del territorio e pizzo, ma una cosca, quella guidata da Nicolino Grande Aracri, che in Emilia si era fatta imprenditrice silenziosa e che aveva rapporti con politici, funzionari comunali, giornalisti e in un caso anche un poliziotto. Epicentro dell’attività criminale Reggio Emilia, ma sono coinvolte anche le province di Parma e Modena.
I 117 arrestati dell’inchiesta denominata «Aemilia» sono accusati a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, reimpiego di capitali illeciti, riciclaggio, usura, emissione di fatture per operazioni inesistenti, trasferimento fraudolento di valori, detenzione illegale di armi da fuoco, danneggiamento e altri reati, aggravati dal metodo mafioso. Oltre agli arresti ci sono beni sequestrati per milioni di euro. A Sorbolo, in provincia di Parma, è stato sequestrato un piccolo quartiere con 200 appartamenti. «Un’inchiesta storica», non esita a dire il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti.
Un’inchiesta che chiama in causa la politica, e non può essere altrimenti visto che, spiegano i magistrati, ci sono state almeno cinque elezioni locali inquinate. Spicca Parma, dove le indagini si sono concentrate sulle comunali del 2007 e del 2012, e indagato per concorso esterno in associazione mafiosa c’è l’ex assessore della giunta di centrodestra dell’ex sindaco Vignali, Giovanni Paolo Bernini, già arrestato nel 2011 nell’ambito dell’inchiesta Easy Money. Ma l’attenzione non si è limitata a Parma: ingerenze sono state documentate anche nelle elezioni di Salsomaggiore del 2006, Sala Baganza del 2011, Bibiano e Brescello del 2009 e Campegine del 2012.
Poi c’è Giuseppe Pagliani, uomo forte del Pdl a Reggio, ed ex capogruppo in Provincia. Pagliani secondo l’accusa si incontrava e trattava con membri delle cosche, «pienamente consapevole» della loro storia criminale. «Questi voti ti porteranno in cielo», si legge nelle intercettazioni. A parlare a Pagliani era Nicolino Sarcone, per i pm elemento di riferimento per l’ndrangheta di Reggio Emilia. Era il marzo 2012 e dà lì sarebbe nato, dicono i magistrati, un sodalizio per dare al politico i voti a disposizione della cosca, e alla cosca il braccio politico per «contrastare alle fondamenta l’iniziativa prefettizia e l’offensiva mediatico-istituzionale antimafia» che si stava sviluppando a Reggio Emilia per mano dell’allora presidente della Provincia Sonia Masini. In difesa di Paolini sono corsi il coordinatore regionale di Forza Italia, Massimo Palmizio e il senatore Carlo Giovanardi. Un arresto «incomprensibile», ha detto il membro della Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia.
Tra i tanti indagati c’è anche un dirigente del Comune di Finale Emilia. Da lui passavano i lavori per la ricostruzione post terremoto. Per i magistrati avrebbe favorito un’impresa locale, la Bianchini, che si è ritrovata il titolare arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli appalti, una volta assegnati alla Bianchini, venivano rigirati verso imprese controllate dalla cosca. «Lo abbiamo sospeso ma per noi è una bastonata – dice il sindaco di Finale Fernando Ferioli – Fino a ieri sera lavorava qui in ufficio, ci fidavamo e curava tutti i progetti». E c’è anche la parte mediatica. Con un giornalista che si occupa di dare alla cosca diritto di parola televisiva per difendersi, e un poliziotto, ex autista del Questore di Reggio, che invece si dedicava alle minacce. Ad essere presa di mira, inutilmente, una giornalista del Resto del Carlino.
Infine ci sono le reazioni della politica. Stefano Bonaccini, neo eletto governatore della Regione, parla della creazione di una «solida barriera» contro il crimine.
Vasco Errani, il suo predecessore, dice di non avere mai messo «la testa sotto la sabbia», ma anzi di avere affrontato il problema. Non un caso visto che l’inchiesta nasce nel 2010, quando a governare in Regione c’era proprio lui. Attacca invece Sel, che parla di sottovalutazione del fenomeno: «Evidentemente non è stato fatto abbastanza».
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