Visioni

La navicella funk di George Clinton

La navicella funk di George ClintonGeorge Clinton – foto Umberto Lopez

Suoni Al Locus Festival di scena la black music, nel cast anche l'intrigante progetto che unisce Sly Dunbar, Robbie Shakespeare e Nils Petter Molvaer

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 7 agosto 2015
Grazia Rita Di FlorioLOCOROTONDO (BA)

Alla sua XI edizione il Locus Festival (24 luglio -10 agosto) guarda lontano: «Il nostro modello di festival è Montreux, io sono un appassionato di jazz e abbiamo cercato di dare al festival un respiro internazionale puntando sulla black music di qualità» spiega Ninni Laterza co-direttore artistico con Gianni Buttiglione. Certo, Locorotondo, il «locus» del festival, non é cool come Montreux, non ha i jazz club chic e neanche un Auditorium storico come lo Stravinski né il giro di sponsor e capitali che il cinquantennale festival svizzero riesce a mettere in circolo ma in compenso si svolge in una splendida cornice tra le colline e il mare, in un incantevole borgo in provincia di Bari, immerso nella Valle dell’Itria tra ulivi e trulli secolari, le case in tufo e pietra locale. Undici anni di presenza, innumerevoli workshop musicali con docenti come il critico musicale Ashley Kahn, dj set, e un pubblico intergenerazionale che oscilla tra le mille e le duemila presenze a serata. La formula del Locus è ideata per week end e si svolge in diverse location di cui la principale è Piazza Aldo Moro nel centro del paese. Dopo un’apertura in grande stile con il nu-soul di Bilal e il jazz quadrangolare di Robert Glasper trio, il festival ha puntato su altri due eventi eclatanti: l’intrigante progetto inedito che mette insieme il leggendario combo giamaicano Sly Dunbar (batteria) e Robbie Shakspeare (basso) con il trombettista norvegese Nils Petter Molvaer (e il suo modo sghembo, inusuale di suonare la tromba), il chitarrista,anch’egli norvegese, Eivind Aaarset (pieno di effetti soundscape à la Robert Fripp) e il finlandese Vladislav Delay, solerte manipolatore di live -sampling.

Cosa unisce musicisti così distanti non solo geograficamente, è lecito chiedersi. Non è così strano se si pensa che Sly Dunbar e Robbie Shakspeare sono la sezione ritmica più famosa al mondo e vantano collaborazioni con un’infinità di musicisti non solo reggae, ma anche rock, pop, tropicalisti come Gilberto Gil, e i «nostri» De Gregori e Jovanotti; turnisti, in senso tecnico, un marchio di fabbrica, nei fatti, fondatori di una delle etichette che ha fatto la storia della musica giamaicana, e non solo, la Taxi records. «È stato Mark, il manager di Nils a chiedermi se volevamo suonare con loro – racconta Robbie Shakspeare poco prima di salire sul palco – ne ho parlato con Sly e abbiamo deciso di accettare. Sì, stiamo anche lavorando insieme per un disco» taglia corto.

La scaletta messa a punto saccheggiando i forzieri della musica giamaicana è sacra e si rivela impeccabile anche nella rivisitazione in salsa jazz, soul, funk, elettronica e un’influenza espressiva che oscilla tra il rock e il dub, con gli arrangiamenti minimali e lussureggianti ideati per questo set. Appena attaccano con i vecchi riddim giamaicani l’entusiasmo del pubblico – molti giovani e con i dreadlocks – è alle stelle, proseguono con Sattamassagana degli Abyssinians, passano per un tributo ai Pink Floyd di Another Brick in the Wall, fino all’ultra-gettonata No, no, no (You don’t love me), una canzone portata al successo da Dawn Penn, per un finale che obbliga tutti (o quasi) a scollarsi dalle sedie.
Atmosfera bollente nella serata successiva quando la navicella spaziale di George Clinton con il suo parlamento funk, è atterrata alla Masseria Ferragnano, poco fuori dal paese, uno degli unici due eventi con biglietto. Lui, 74 anni, alto e dritto come un fuso, dal look decisamente più sobrio rispetto al passato: camicia a fiori sgargianti e pantaloni color panna, un Borsalino nero , canta sussurrando al microfono mostrando giusto la voce un filino screziata dal tempo che passa e dall’abuso di droghe che lascia il segno, ma una vitalità e una grinta da giovanotto in piena sintonia con l’organico di diciotto elementi capaci di sedurre il pubblico con una carica di pura energia e sensualità.

Sulle note dei pezzi da novanta degli esordi con assolo di chitarra mai scontati, il P-Funk è questo: una squadra vincente, uno stile di vita, un’innovazione inarrestabile. Scorrono I Got a Thing, Give Up The Funk, Atomic Dog, Up For the Down Stroke mentre Flashlight è l’apoteosi di uno show lungo più di due ore pieno di funk, funk per tutti e tanta goduria. Il Locus prosegue nel prossimo week end con l’elettronica dei Lamb (8) e Nils Frahm (9) al club Mavù e in chiusura l’ispiratore dell’afrobeat Orlando Julius &The Heliocentric(10).

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