Europa

La Nato interviene nella crisi dei profughi

La Nato interviene nella crisi dei profughiL'incontro Nato da cui è scaturito il via libera all'operazione navale

Crisi dei rifugiati Per la prima volta, l'Alleanza atlantica in primo piano su questo fronte. Decisione veloce, di fronte alla paralisi Ue. La Turchia domina la strategia sui migranti. La Russia evoca un possibile cessate il fuoco in Siria, dove ci sono ormai 470mila vittime

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 12 febbraio 2016

La Nato è pronta “a sostenere e partecipare a un’operazione navale di sorveglianza del Mar Egeo”, ha dichiarato ieri il segretario alla Difesa Usa, Ashton Carter. Il segretario generale della Nato, Jean Stoltenberg ha precisato che il comandante delle forze alleate in Europa, Philip Breedlove, “sta ordinando al gruppo navale permanente di recarsi nel Mare Egeo senza tardare e iniziare l’attività di sorveglianza”. La Germania ha difatti chiesto che l’operazione parta il più in fretta possibile. La Nato ha pero’ precisato che “non si tratta di fermare o respingere le barche di rifugiati”, ma, come ha affermato Carter, di avere come obiettivo di colpire “la rete criminale che sfrutta povera gente”, un vero e proprio “traffico organizzato”. E per il momento devono ancora essere definiti tutti i dettagli, a cominciare dalla messa in comune delle informazioni, tra comando Nato, paesi coinvolti e anche Frontex, che è già sul posto. Intanto, la Nato deve anche rispondere alla richiesta Usa di dispiegamento di Awacs a sostegno della coalizione anti-Daech.

E’ la prima volta che la Nato si impegna ufficialmente in un’operazione che riguarda i rifugiati: finora, si era sempre rifiutata, facendo valere che l’Alleanza atlantica non ha il mandato di sorvegliare le frontiere o di lottare contro le organizzazioni criminali di passeurs, che riguardano il campo civile e di polizia, non militare. Ma mercoledi’, i ministri della Difesa dei paesi Nato hanno dovuto esaminare una domanda presentata dalla Turchia, con l’appoggio della Germania, per venire in aiuto alle guardie costiere turche nella lotta contro l’immigrazione illegale in Europa. Questa domanda, avanzata ad Ankara da Angela Merkel dopo l’incontro con il primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, aveva “sorpreso tutti”, dicono alla sede Nato a Bruxelles. Ma il segretario generale, Jens Stoltenberg, aveva assicurato che di fronte alla “grave preoccupazione” per la crisi dei migranti, la Nato avrebbe “studiato molto seriamente la domanda della Turchia e di altri alleati” per vedere come l’Alleanza “puo’ aiutarli a gestire la crisi”. Alcune ore sono state trascorse a convincere la Grecia, anch’essa presa di sorpresa e molto irritata. Alexis Tsipras ha chiesto spiegazioni a Merkel. “Se riguarda i trafficanti – ha finito per dire la portavoce del governo greco, Olga Gerovassili – non vediamo la cosa negativamente”.

L’irruzione della Nato è un altro segnale dell’impotenza della Ue a far fronte alla crisi dei rifugiati. L’Europa si insabbia senza riuscire a decidere, mentre la Nato, in poche ore, organizza un intervento, che rischia di aumentare la temperatura in una zona calda, dove è all’opera un gioco di biliardo a più sponde, con la forte presenza russa. Le proposte di ridistribuzione dei profughi, fatte dalla Commissione, sono rimaste lettera morta, le frontiere si chiudono all’interno della Ue, una dopo l’altra (ieri, è arrivata una stretta dall’Austria), Schengen è ormai a rischio. L’idea di una missione militare europea al confine tra Grecia e Macedonia, studiata dai ministeri degli Esteri Ue qualche giorno fa, è stata scartata per l’opposizione di Grecia e Lussemburgo. La Ue continua a corteggiare la Turchia, chiudendo tutti e due gli occhi sullo stato della democrazia interna e sull’ambiguità di Ankara nella guerra civile in Siria. A giugno dovrebbe entrare in vigore un accordo per la “riammissione” dei rifugiati in Turchia, che la Commissione propone da settembre di considerare “paese sicuro” (come aveva proposto la Commissione già nel settembre scorso). La proposta è stata presentata dalla presidenza olandese del Consiglio Ue. “La domanda europea perché la Turchia apra le frontiere è il segno che la Ue è in preda al panico”, ha commentato l’ambasciatore turco presso le istituzioni europee, Selim Yenel. La Turchia fa il suo gioco, che non è solo quello di chiedere contropartite a Bruxelles, come una liberalizzazione dei visti e aiuti finanziari (ci sono in ballo 3 miliardi, che non bastano pero’ a Ankara). L’intervento della Nato è un mezzo, per la Turchia, di coinvolgere direttamente l’Alleanza atlantica nel conflitto con la Russia e i curdi in Siria. La Nato del resto ha già rafforzato il sostegno militare alla Turchia (che è nella Nato dal ’52). Da una quindicina d’anni ha un dispiegamento navale nel Mediterraneo orientale. Oggi il gruppo nautico Nato ha 3 navi, sotto comando tedesco, al largo di Cipro. Per Stoltenberg, “nell’ideale” dovrebbero salire a 5-7. Per la Nato, il posizionamento è mirato nei confronti della Russia, che interviene in Siria a sostegno del regime, mentre nell’Europa dell’est si organizza il programma di “rassicurazione” contro Mosca (lanciato dopo l’annessione della Crimea, pensando all’Ucraina): dopo che la Polonia e i Baltici hanno chiesto un rafforzamento della presenza Nato all’est, gli Usa hanno previsto di aumentare la presenza e la Gran Bretagna invierà 5 navi nel Baltico e potrebbe dispiegare delle truppe ai confini tra la Russia e l’Est europeo. La Russia ha fatto filtrare una proposta di “tregua”, con un possibile cessate il fuoco da marzo, avanzata dal vice-ministro Ghennadi Gatilov. Ne hanno discusso ieri a Monaco John Kerry e Serguei Lavrov. Gli occidentali ritengono che la Russia, con i bombardamenti su Aleppo, abbia fatto fallire le discussioni di Ginevra, sospese il 3 febbraio. Ma che ora potrebbero riprendere, anche prima del 25 febbraio, data evocata dall’emissario speciale Onu, Staffan de Mistura. Ma il fronte occidentale si prepara anche a un nuovo fallimento della diplomazia: il rappresentante speciale di Washington nella coalizione internazionale della lotta contro Daech, Brett McGurk, afferma che è necessario “anticipare”, mentre Arabia saudita e Emirates potrebbero decidere un intervento a terra in Siria.

Il Syrian Centre for Policy Research ha affermato ieri che i morti in Siria sono ormai 470mila. Per l’Alto commissario Onu per i diritti umani 320mila persone sono in stato d’assedio a Aleppo e 51mila sono in fuga.

 

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